
Pare che tutto sia iniziato da un non banale mal di schiena che Chip Wilson, allora proprietario di un negozio di abbigliamento a Vancouver in Canada, aveva deciso di tenere a bada con lo yoga. Ma alla fine della lezione più che il rilassamento dorsale, a scatenare le sue endorfine era stato l'abbigliamento delle giovani donne, a suo parere totalmente inadeguato. "A quei tempi, tutti indossavano i loro vestiti peggiori in palestra", ha dichiarato Wilson in un'intervista alla Cnn. Era il 1998, Wilson aveva 42 anni e si è messo in testa due cose: inventare un tessuto sintetico che avesse la consistenza del cotone e dare al suo brand un nome con almeno 3 L per sfondare in Giappone. Nasce così Lululemon, oggi al top nel mondo nell'abbigliamento sportivo diventato divisa urbana. Un brand che ha chiuso il bilancio 2024 con un fatturato di circa 10,6 miliardi di dollari, con un'accelerata nelle vendite internazionali (+34%), contro quelle in area America a +4% con 767 negozi nel mondo, 56 aperti solo nel 2024) con il primo sbarco in Italia quest'estate ha appena in pieno centro a Milano. Un caso? Niente affatto.
Il fenomeno ha un nome: Athleisure. Crasi tra "athletic" e "leisure" non indica solamente una commistione tra moda e sport, ma ne ha frantumato i confini sdoganando l'abbigliamento da palestra, nella vita quotidiana con capi in grado di attraversare senza sforo dalla palestra, all'ufficio all'aperitivo. È ciò che si può indossare per correre, ma anche per non correre affatto. L'abbigliamento tecnico è diventato una nuova lingua franca del lusso quotidiano. Ma attenzione.
Non si tratta di una semplice tendenza, che ha in ogni caso i suoi codici: leggins, felpa, snakers e, immancabile must have, il cappellino stile baseball con visiera. È un cambio di paradigma antropologico prima che estetico - sottolineano gli esperti - che racconta come sia cambiato il nostro rapporto con il corpo, con il tempo e con il suo consumo. Racconta la nostra voglia di libertà che ha fatto scendere la moda dal tacco dodici per indossare le sneakers, simbolo più potente di questa rivoluzione: il nuovo stiletto della contemporaneità, sdoganato nelle passerelle e infiltrato anche nella boardroom.
Moda e sport sono da sempre contaminati. Oggi, quando Jannik Sinner entra in campo con la sua borsa Gucci, non rappresenta solo se stesso ma la fusione definitiva tra performance e immaginario di lusso.
Secondo i dati di mercato, il settore dell'athleisure quell'ibrido di abbigliamento tecnico e urbano vale oggi circa 425 miliardi di dollari, e crescerà fino a 941 miliardi entro il 2034, con un ritmo annuo del 9,2%. Il Nord America resta il cuore commerciale del fenomeno, ma la crescita più veloce arriva dall'Asia-Pacifico, dove urbanizzazione e culto del fitness stanno trasformando il guardaroba della nuova classe media. Le t-shirt coprono il 38% del fatturato globale, ma il segmento più in espansione è quello dello yoga wear.
Lululemon domina il mercato mondiale del comfort aspirazionale con i suoi tessuti brevettati Nulu, Everlux diventati icone sensoriali, e i suoi punti vendita, templi dell'experience retail, dove si pratica meditazione prima ancora che consumo. Sulla costa opposta, a Los Angeles, Alo Yoga ha reso l'equilibrio uno stile di vita globale. Ancora non è sbarcato in Italia (ma pare che ci sia vicino a Roma) con il suo motto "Il vero lusso è una vita vissuta con equilibrio, stile e intenzione" riassume la filosofia dell'athleisure 2.0: l'idea che il benessere sia un bene di lusso, e che il lusso, ormai, coincida con il benessere. Alo non vende solo capi in lycra ma ora anche borse in pelle pensate in California e realizzate a Firenze: il corpo californiano e la mano artigiana toscana cifra di autenticità e del fare bene.
Intorno a questi giganti si muovono nuovi marchi come Vuori, Set Active, Girlfriend Collective e Pangaia, che mescolano etica, performance e algoritmi social. Tutti con la stessa promessa: vestirsi bene significa sentirsi bene, e viceversa. La contaminazione è arrivata da tempo fino alle maison. Gucci, Prada, Dior, Balmain, Stella McCartney. L'idea di vestirsi per muoversi è diventata la nuova frontiera dell'eleganza.
Dietro il fenomeno c'è molto più di una questione estetica. Il boom dell'athleisure coincide con il post-pandemia, con la diffusione del lavoro ibrido e con la cultura del benessere elevata a valore etico. Il vestito ha smesso di essere armatura e si è fatto complice: morbido, multitasking, performante. Gli stilisti lo sanno e i consumatori lo chiedono. Gli influencer da Kendall Jenner a Hailey Bieber hanno fatto il resto, trasformando la tuta in simbolo di una disinvoltura cool.
L'ultima sfida arriva da Parigi dove Coperni marchio di lusso francese diventato famoso per le sue innovazioni tecnologiche (un abito spray applicato in diretta sulla passerella) ha lanciato una linea di athleisure definito "un gesto di skincare da indossare" ovvero un tessuto arricchito con una miscela brevettata di probiotici e prebiotici a lento rilascio per aumentare la luminosità della pelle. In un'epoca in cui tutto corre la moda deve correre anche lei. Ora lo fa in sneaker.