Ma il socialismo democratico non sta a sinistra

Arturo Gismondi

Bobo Craxi ha dunque saltato il fosso che lo porterà, dieci anni più tardi, accanto a quei socialisti che non hanno aspettato tanto tempo per schierarsi con la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto scampata a suo tempo alla purga di Tangentopoli. Che in realtà non ha risparmiato alcun altro partito dell’«arco costituzionale», inventato da De Mita per introdurre il Pci nell’area del potere se non del governo.
Non so se De Mita nel momento in cui, coinvolto nella bufera, è stato condannato dal suo stesso partito a un esilio dalla politica durato diversi anni, ha capito quel che è successo al suo partito, e a lui stesso. Coi socialisti l’Italia, e i vincitori della stagione della prima metà degli anni ’90, furono più spietati. E i socialisti, a parte una infima minoranza che fin dalle prime elezioni venne ospitata nelle liste Pds, furono oggetto di una damnatio memoriae feroce perché si valeva di argomenti morali, e dunque infamanti. Agli occhi degli italiani i socialisti ci misero del loro, non rinunciarono mai al nome, né a gridare le loro ragioni come molti hanno continuato a fare nel congresso dei giorni scorsi.
Coloro che, raccolti attorno a Bobo Craxi si trasferiscono oggi accanto alla sinistra post-comunista e fra i socialisti ravveduti, lo fanno con due argomenti. Il primo: è passato il tempo, non si può vivere di sentimenti, e di risentimenti; il secondo, i socialisti debbono riprendere il loro posto naturale, che è a sinistra. Sul primo argomento c’è poco da dire, trattandosi di sentimenti e risentimenti ci si inoltra in un territorio, di affetti e di ripudi, che è il più imperscrutabile e personale. Il secondo argomento, quello del ritorno dei socialisti a sinistra come unica patria possibile è il frutto di una ignoranza grave, e tutta italiana, della storia europea del XX secolo.
La storia del socialismo europeo è stata in realtà una storia di separazione. Dapprima in due Internazionali, dalla seconda guerra in poi nei Paesi dell’Europa Occidentale, e del nord, il socialismo democratico ha dato vita a una società libera, e prospera, separata in modo ferreo dal socialismo reale dominato dai partiti comunisti portati al potere dalle truppe sovietiche. C’è stata in Italia, è vero, la storia del Fronte popolare di Nenni del 1948, risoltasi anch’essa con la rovina del Psi, con un periodo di sudditanza cessata del tutto solo con Craxi. E Craxi, la sua storia di leader socialista libero l’ha pagata con l’esilio e con la vita. Il titolo di un libro su di lui è: La lunga strada per Hammamet. La sua storia comincia nel momento in cui egli proclama che anche in Italia il socialismo deve essere quello democratico, liberale, umanitario esistente nel resto d’Europa. Nella verità storica, il posto dei socialisti è stato a sinistra solo nei Paesi, e nei periodi nei quali la sinistra è stata dominata dai comunisti. E così è ancora nel resto d’Europa. Schroeder ha preferito consegnare la Cancelleria ad Angela Merkel piuttosto che allearsi coi nostalgici della Ddr, gli ex comunisti sono ridotti al minimo in Spagna e in Francia, ove pure dominarono la scena partiti prestigiosi e potenti. Solo da noi la scelta dei Ds resta quella del pas des ennemis a gauche.
Il paradosso italiano non è che proprio in questo momento una parte dei socialisti vanno ad una alleanza tardiva con neo e post-comunisti. Il paradosso sul quale riflettere è che l'Italia di oggi, con la esistenza di due partiti comunisti propriamente detti e di un partito post-comunista (che del vecchio Pci resta l’erede, e lo resta se non altro nella assoluta continuità della classe dirigente) costituisce un caso unico in Europa, compresa quella dell’Est ed ex-sovietica. Di fronte a questa situazione, la vicenda politica di Bobo Craxi e dei suoi ospitati nel campo di una sinistra che anche elettoralmente coincide con l’eredità del vecchio Pci è un tocco di colore, uno sbaffo che nulla aggiunge o toglie alla nostra realtà nazionale.
a.

gismondi@tin.it

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