"Businessman è offensivo". Anche l’Ocse si arrende al verbo woke

Nel nuovo manuale sul linguaggio “inclusivo” la parola “man” diventa un tabù. Dalla “manodopera” al “gentleman”, tutto da riscrivere per non offendere nessuno

"Businessman è offensivo". Anche l’Ocse si arrende al verbo woke
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“L’uso di un linguaggio inclusivo riflette il nostro impegno nei confronti dell’uguaglianza, della diversità e dell’inclusione, garantendo che i contenuti siano rispettosi, accurati e accessibili a un pubblico globale”. Questa la dichiarazione che apre la guida al linguaggio inclusivo dell’Ocse. Tra un’analisi delle politiche volte a migliorare il benessere socioeconomico dei cittadini del mondo e l’altra, l’organizzazione ha deciso di stilare un vademecum woke con un unico obiettivo: adottare un linguaggio neutro così da eliminare “preconcetti sull’identità di genere, sui ruoli e sulle relazioni di genere”.

Tre priorità: un linguaggio inclusivo volto a eliminare termini “obsoleti e offensivi”; una terminologia rispettosa, con un occhio di riguardo ai pronomi; un’attenzione all’evoluzioni del linguaggio, perché “c’è sempre qualcosa da imparare”. Dunque il bignamino segnala una serie di parole da evitare per non oltraggiare la sensibilità altrui. Un esempio su tutti: “businessman” o “businesswoman” non vanno bene, meglio utilizzare “business person”.

L’elenco di raccomandazioni è piuttosto corposo e c’è un elemento che balza subito all’occhio: la parola “man” è il vero problema. L’uomo come simbolo del male e della mancanza di rispetto. Un termine da abolire per mettere fine a qualsivoglia differenza di genere in nome dell’inclusività esasperata. Quindi “fireman” (“pompiere”) va sostituito con il neutro “firefighter”, “handyman” (“tuttofare”) con “repair person”, “manpower” (“manodopera”) con “workforce” e così via. Stop anche a “gentleman’s agreement” e a “ladies and gentleman”. Attenzione, perché non va bene neanche parlare di “maternità” (“mothering”) o di “paternità” (“fathering”): bisogna optare per “parenting”, ossia “genitorialità”, poiché qualcuno potrebbe offendersi. O almeno questo è il mantra del nuovo catechismo progressista, che non difende più le differenze ma le cancella, che finge di combattere per l’inclusività ma finisce per amputare il linguaggio di buonsenso. La tesi è cristallina: basta dire “persona” invece di “uomo” per sentirsi moralmente superiori, anche se nel frattempo il rispetto vero scompare.

Con questo vademecum politicamente correttissimo l’Ocse rappresenta il tipico esempio di istituzione europea d’élite: anziché dedicarsi alla sua missione – promuovere il libero scambio e la crescita economica – sceglie di indossare l’elmetto e combattere per promuovere la giustizia sociale.

Ma il forum con sede a Parigi è in buona compagnia: risale a pochi mesi fa l’introduzione del vocabolario gender neutral da parte della Commissione Ue, un manuale ricco di indicazioni per una folle neolingua.

E come sempre accade con le mode ideologiche, chi osa dissentire viene subito bollato come reazionario. Ma difendere la lingua non è reazione: è difesa della realtà.

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