Che cosa succede se, in caserma, il sergente piomba alle spalle del caporale, lo cinge con le braccia, lo attira a sé e gli stampa un vorace bacio sul collo? Nulla.
Neppure se il caporale non è consenziente? Neppure.
E se il caporale è donna e denuncia il sergente al Tribunale militare per molestie sessuali?
È possibile che il superiore, denunciato dal subalterno, sia condannato dal Tribunale militare, ma che, poi, la condanna venga annullata dalla Cassazione.
Sembra difficile crederlo. Eppure, la Corte di Cassazione con sentenza del 19 maggio 2011 ha annullato la condanna per violenza su un subordinato, irrogata a un sergente che, durante un'ispezione di servizio, aveva appunto baciato un caporale donna; evidentemente male interpretando lo spirito di corpo.
Naturalmente, la recluta aveva prontamente deferito il superiore all'autorità militare. Nella convinzione che i principi etici, alla base dell'ordinamento militare, dovessero tutelarla col punire il sergente.
Tuttavia l'ufficiale, dapprima condannato, aveva poi inoltrato ricorso in Cassazione e il procedimento si è così concluso con l'annullamento della sentenza militare.
Secondo la Cassazione, il reato è da escludersi, poiché manca la correlazione tra l'attività del sergente (repentino e non condiviso bacio) e il servizio militare. Dunque, poiché il baciare sul collo e lo stringere a sé un recalcitrante caporale donna non rientrano tra le cause di servizio, c'è «assoluta estraneità della condotta posta in essere dal sergente, rispetto al grado ricoperto, alle funzioni e al servizio svolti da entrambi i soggetti coinvolti nella vicenda».
In conclusione, il codice militare si chiama fuori; anzi viene chiamato fuori dalla Cassazione giacché i fatti lamentati, considerati reato tra cittadini privi di divisa, non lo sono se avvengano tra militari. Uomini o donne, sergenti o caporali che siano.
Il caporale si dovrà rivolgere ora all'Autorità giudiziaria ordinaria. Con buona pace di chiunque abbia mai creduto che, in caserma, una donna debba considerarsi più rispettata e protetta che fuori.
Invece, il codice militare punisce l'abuso di potere, ma non l'abuso di potenza.
Comunque sia, è inevitabile pensare che, stando così le cose, una marea di piccoli e grandi crimini - nonnismo, stalking, mobbing, molestie e, forse, stupri - siano rimasti impuniti negli anni, ove siano stati commessi in ambiente militare, dai superiori verso i subordinati, tutti garantiti, questi modi di fare, dall'art. 199 del Codice militare, che consente di escludere il reato quando il fatto non è collegato all'attività di servizio e allo sfruttamento della gerarchia.
C'è voluto, come al solito, il coraggio di una donna per svelare l'esistenza di queste condotte anomale e fare emergere, alla fine, una lacuna «disarmante» del Codice militare.
Probabilmente, in passato, quando la carriera militare era monopolio degli uomini, nessuno dei molestati ha rischiato di raccontare gli affronti subiti. Probabilmente nessuno ha mai avuto la coscienza della propria dignità e dell'odiosa sopraffazione, fuori servizio, tanto da non voler superare la stereotipata barriera dell'immagine maschile: non offuscabile neppure dal doversi dichiarare vittima di qualcuno. A maggior ragione nell'ambito sessuale.
Credo, in conclusione, che questi formalismi, rigidi e antistorici, dovrebbero essere oggi superati dal legislatore, col dare al codice penale militare molta più sostanza e più vasta capacità sanzionatoria ai fatti illeciti messi in atto dagli uomini in divisa. I quali, peraltro, dovrebbero imparare, prima che a combattere contro il nemico, a combattere i propri istinti.
Tutte le Forze Armate hanno, infatti, come primario obbligo, quello di onorare l'arma cui appartengono, tenendo una condotta ancora più integra e rigorosa di quella richiesta all'uomo qualunque.
Il militare che sbaglia, violando la propria vocazione etica di matrice eroica, dovrebbe, quantomeno, essere punito prima e anche dal Tribunale militare: per l'affronto arrecato alla divisa e al giuramento prestato alla Patria. Affronto ancora più squallido e offensivo per l'Arma se la vittima è una donna e l'Ufficiale non è propriamente un gentiluomo.
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