Bin Laden

La solitudine dei malvagi che hanno fatto la storia

I grandi dittatori, i grandi terroristi non sono - per natura e comportamento - persone normali. Ma una prima riflessione sul concetto di normalità, su quanto sia vago e variabile e frastagliato, mi viene dalla rapida sequenza di eventi cui abbiamo assistito e partecipato in questi giorni.

Prima, tutti a compiacerci, benevoli e soddisfatti, per le nozze reali di Londra. Un fatto romantico e di potere che ci ha portati d’improvviso nel mondo delle fiabe, con seguito di allegria generale. Il giorno dopo, la beatificazione di Giovanni Paolo II ha coinvolto credenti e non credenti in un’atmosfera mistica, spesso commossa, anche questa quasi fiabesca. Il giorno dopo ancora, l’uccisione - ambita, voluta, premeditata - di bin Laden ha di nuovo emozionato il mondo occidentale, come il lieto fine di una fiaba in cui il lupo cattivo paga le conseguenze delle sue azioni e viene giustamente punito per le sue colpe. I media non hanno affatto celato l’entusiasmo, addirittura l’allegria, per la morte improvvisa e violenta, voluta da altri uomini, di un individuo pericoloso quanto si vuole, crudele quanto si vuole, ma pur sempre un essere umano. Certo, tutto ciò è comprensibile, e forse anche giusto, ma dovrebbe far riflettere quando ci si scaglia contro il «relativismo» che contaminerebbe la nostra epoca.

Ciò detto, un interessante articolo sul New York Times spinge a altre riflessioni sulla banalità del male. I peggiori dittatori, tutti i più sanguinari terroristi, hanno in comune un’infanzia infelice, di violenze subite: e ripetono in grande il fenomeno ben noto alla psicologia - e appurato dalla sociologia e dalle cronache - per cui un bimbo maltrattato e seviziato diventerà a suo volta un maltrattatore, un seviziatore.

Bin Laden perse il padre a 9 anni, ucciso in un incidente aereo causato da un pilota americano; sua madre, quando lo ebbe, ne aveva 15. In famiglia era soprannominato «The Slave» e considerato pochissimo, nonostante le sue ricchezze, in quella che è stata definita «una famiglia araba nel secolo americano». Punizioni severe. Estremamente timido, studente mediocre, non parve mai un ribelle, ma un tradizionalista che vietava le cannucce per le bibite in casa sua e si copriva gli occhi quando una donna entrava in una stanza. «Noi pensiamo a un leader del terrorismo come a un uomo duro e intimidatorio. Bin Laden era dolce e morbido, con una stretta di mano flaccida», ricorda l’estensore dell’articolo, Brooks: aggiungendo che durante l’invasione sovietica dell’Afghanistan fu un corriere e un organizzatore più che un combattente: «Ripeto questi fatti personali, perché abbiamo la tendenza a vedere la storia come guidata da forze storiche profonde. E a volte lo è. Ma a volte è guidata da persone del tutto inspiegabili, che combinano caratteristiche difficilmente conciliabili, che sono in grado di perpetrare mali enormi anche se loro stessi sembrano del tutto patetici». Insomma, la sua vita sembra escludere la speranza di poter prevedere i comportamenti di alcuni leader, specialmente quelli che hanno a disposizione poteri e metodi estremi. Ma è davvero così?

Secondo me, e soprattutto secondo Alice Miller, non è così. La Miller, nata in Polonia nel 1923 e morta l’anno scorso in Francia, è stata una psicanalista, fra i maggiori esperti mondiali di come gli abusi psicofisici inflitti ai bambini, in particolare all’interno della famiglia, comportino effetti disastrosi nella crescita e nell’età adulta. Nell’ottobre del 2001, neanche un mese dopo l’attentato delle Torri Gemelle, scrisse: «Chiunque siano e per quanto terribili siano stati i loro crimini, nel profondo dell’animo di ogni dittatore, sterminatore o terrorista, cova il bambino umiliato che sono stati un tempo, un bambino che è sopravvissuto solo attraverso la completa e assoluta negazione dei suoi sentimenti di impotenza. Ma questa totale negazione della sofferenza una volta stabilita crea un vuoto interiore. Molte persone non svilupperanno mai una normale capacità di compassione. Di conseguenza hanno pochi scrupoli a distruggere la vita umana, né quella degli altri né il vuoto che si portano dietro dentro di loro. Dal mio punto di vista, e sulla base delle ricerche che ho fatto sulla storia dell’infanzia dei più spietati dittatori, come Hitler, Stalin, Mao e Ceausescu, il terrorismo in generale e i recenti orribili attacchi aerei contro gli Stati Uniti, sono tutte macabre ma precise dimostrazioni di quello che accade a milioni e milioni di bambini nel mondo».

Hitler, Stalin, Mao e Ceausescu: tutti dittatori violenti e spietati, tutti ex bambini maltrattati. «Nessuno viene al mondo con la volontà di distruggere», prosegue Alice Miller. Tutto ciò non vuole, a mio parere, essere una giustificazione per nessuno: milioni di bambini maltrattati diventano brave e miti persone. È chiaro che in certe personalità dominanti si sviluppa, insieme all’accrescimento del potere, l’accrescimento della crudeltà, della mancanza di pietà.
Insomma, occorre scavare nel passato remoto degli uomini che arrivano a un grande potere, per poterne prevedere le mosse peggiori. Non dovrebbe essere difficile.

www.

giordanobrunoguerri.it

Commenti