Zelio Zucchi
Si fece gran chiasso, in Europa, quando un paio danni fa la National Basketball Association, cioè la lega del basket professionistico americano, multò pesantemente un giocatore che si era rifiutato di firmare lautografo a un tifoso. «Ricordate - disse ai cestisti David Stern, il Galliani della Nba - che sono i tifosi, attraverso i biglietti, a pagare i vostri ricchi stipendi».
Adesso nel basket americano è successo di molto peggio o di molto meglio, a seconda dei punti di vista: fuori dal rettangolo di gioco, quindi anche in panchina o nella sala delle conferenze stampa, niente più canottiere, t-shirt, bermuda, occhiali da sole, collane vistose o gli auricolari per ascoltare la musica durante il riscaldamento. Regole che valgono non soltanto per chi gioca, ma anche per gli infortunati seduti nei posti vicinissimi al rettangolo di gioco e destinati allo staff delle due squadre. Anche stavolta David Stern, un piccoletto dalla faccia allo zucchero filato ma dal carattere molto deciso, ha stilato il decalogo - «Dress Code», lo chiamano - al quale tutti dovranno adeguarsi senza eccezioni, dalla matricola a Shaquille ONeal. Dunque fuori dal campo, nei momenti ufficiali cravatta e giacca a tre bottoni.
Un capitolo a parte meritano le calzature: fuori dai momenti di gioco o di allenamento, mai scarpette da ginnastica (scarpette si fa per dire: i giganti hanno quasi normalmente piedi oltre il numero 50) o sandali, peggio che peggio gli infradito di moda nelle località balneari.
«Stern - contesta Raja Bell, guardia di Phoenix - sta confondendo il nuovo Madison Squadre Garden con Wall Street, la Borsa di New York, e ci vuole tutti mascherati da uomini daffari, rischiando un clamoroso flop nel marketing perché i nostri tifosi sono soprattutto ragazzi, gente che vive nel mondo dellhip-hop».
Ma cè anche chi condivide la linea delleleganza: «Faremo un figurone quando ci accomoderemo in panchina in giacca a cravatta - dice Shawn Marion, ala nelle stessa squadra dellArizona - e se i grandi capi vogliono cambiare limmagine della Lega tutto questo è molto positivo». E Nate McMillan, lallenatore di Portland, racconta: «Nel mio piccolo io ho già varato una serie di regole per disciplinare la vita negli spogliatoi, cominciando con il requisire i telefoni cellulari».
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