Cultura e Spettacoli

Una soluzione definitiva per la Crusca

Succede più o meno tutte le estati... dal 1583. È una specie di gioco di società, purtroppo dai risvolti serissimi, chiamato: «Salviamo l’Accademia della Crusca». La minaccia è sempre la stessa: il rischio di chiusura della più veneranda istituzione che veglia a tutela della lingua italiana. Quest’anno l’allarme è stato lanciato quando il governo, a causa della crisi, ha proposto il taglio degli enti pubblici con meno di 70 dipendenti. Dalle parti della Villa Medicea, comprensibilmente, non l’hanno presa bene: il presidente Nicoletta Maraschio ha annunciato l’idea di un appello a Giorgio Napolitano. La crisi si è chiusa perché nessuno aveva in mente di colpire una delle istituzioni culturali più prestigiosa del Paese. Il ministro Galan ha garantito che in un modo o nell’altro le risorse economiche per «passare al vaglio» la purezza della lingua italiana si troveranno comunque. Insomma, era abbastanza chiaro che nessuno voleva sacrificare quattrocento anni di storia sull’altare di un criterio meramente numerico. Resta però il fatto che la Crusca ha sempre bisogno di denaro, e proprio ieri ha invitato, dalle colonne del Sole 24 Ore, i lettori a sostenere concretamente l’Accademia (per chi è interessato: il sito www.accademiadellacrusca.it ha aperto una apposita sezione con tutte le informazioni necessarie per fare un versamento). La questione si ripropone, più o meno identica, ogni anno. Ogni anno mancano i fondi, ogni anno parte l’appello, ogni anno, tra mille problemi, si trovano i fondi. Ogni anno un linguista scrive un corsivo per dire che l’Accademia dovrebbe darsi un’aggiornata. Ogni anno un altro linguista cade nel tranello e invia una risposta polemica. Se c’è penuria di notizie, può darsi che il dibattito arrivi sulle prime pagine dei quotidiani. La crisi costante della Crusca è una delle tante facce dell’Eterna Emergenza Italiana. Già nel 1987 il Giornale, per volontà di Indro Montanelli, aveva lanciato una raccolta di fondi. La storia si è ripetuta nel 1999: mancavano 500 milioni di lire, e ancora una volta Montanelli si fece sentire, questa volta dalla sua «Stanza» al Corriere. Ma perché fermarsi ad anni recenti? Nel 1923 l’allora ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile dispose, con Regio Decreto, un nuovo ordinamento dell’Accademia che prevedeva l’interruzione della compilazione e della stampa del vocabolario - di fatto quindi la soppressione della secolare attività lessicografica. Eppure l’Accademia, per fortuna, è arrivata sin qui. Poiché neppure il più feroce dei detrattori, ammesso che ne esistano, può negare la sua importanza, forse sarebbe il caso di trovare una soluzione definitiva. Si rifondi l’Accademia, le si conceda uno statuto speciale, si trovi il modo di evitare la solita trafila annuale di allarmi e appelli.

Tra molti Enti inutili, qui ce n’è uno utile.

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