«Sono io l’erede di Blair» Gordon Brown s’incorona e fa mea culpa sull’Irak

Il ministro dell’Economia inglese si candida a premier e a leader del Labour. E sul conflitto nel Golfo cambia toni. Perplessità degli Usa

da Londra

Gordon Brown esce ufficialmente allo scoperto, promette nuove idee, ma sull’Irak recita il mea culpa. Il cancelliere dello Scacchiere ha tenuto ieri all’Imagination Gallery di Londra il suo primo discorso come candidato ufficiale per la poltrona di primo ministro. Dopo aver elogiato e ringraziato Tony Blair per come in questi dieci anni abbia guidato il Paese, «con coraggio, passione e perspicacia», trasformandolo «in una delle più grandi storie di successo del nuovo secolo», Brown ha voluto subito mettere in chiaro che, come successore di un leader così carismatico, non si limiterà a seguirne la scia.
«Nelle settimane e nei mesi che ho davanti, il mio primo impegno sarà quello di mostrare idee nuove, un programma e l’esperienza per guadagnare la fiducia del popolo britannico», ha affermato. Per quanto riguarda la corsa alla successione Brown si è detto ben lieto di affrontare le sfide lanciate da altri eventuali colleghi impegnandosi a guidare un governo composto «da ogni talento», senza escludere quindi l’impiego di ministri di altri partiti. In piedi, con alle spalle il manifesto elettorale della sua campagna, il ministro ha affermato che girerà tutto il Paese per «ascoltare e imparare dalle preoccupazioni della gente». «Voglio guidare un governo abbastanza umile da sapere sempre che il suo posto è dalla parte del popolo», ha aggiunto. Rigettata invece la proposta dei Tories di andare a elezioni anticipate. «Voi nel 1990 non l’avete fatto quando la Thatcher ha abbandonato», ha ricordato.
Brown ha altresì smentito le ipotesi di un governo più spostato a sinistra sottolineando che intende invece portare a compimento la riforma del New Labour dei servizi pubblici. Ha annunciato però di volere una costituzione nazionale più forte che dia maggiori poteri ai parlamentari eletti, un obiettivo che Blair non era riuscito a raggiungere. «Uno dei miei primi atti come primo ministro – ha dichiarato – sarà restituire potere al nostro Parlamento per guadagnare la fiducia dei cittadini nella nostra democrazia. I governanti devono essere più aperti e tener in maggior conto le opinioni dei parlamentari, per esempio in decisioni importanti sulla pace e sulla guerra». Ecco, la guerra. Sull’Irak Brown ha ammesso che «sono stati commessi degli errori», una frase che ha suscitato immediatamente polemiche e timori. Molti l’hanno interpretata come una presa di distanza dagli alleati americani o anche l’annuncio di una retromarcia su un percorso che Blair aveva tracciato in maniera del tutto diversa. «Andrò a far visita ai nostri soldati – ha aggiunto Brown – e voglio ascoltare quello che il governo iracheno ha da dirci». Senza soffermarsi nel dettaglio sugli errori fatti, Brown ha comunque assicurato che «gli impegni presi nei confronti del popolo iracheno verranno mantenuti». «Si tratta di impegni che fanno parte della risoluzione Onu e che sono a sostegno di una democrazia», ha ricordato, annunciando però che «nei prossimi mesi sarà più utile concentrarsi maggiormente sulla riconciliazione politica in Irak e sul suo sviluppo economico in modo che la popolazione irachena avverta che nel Paese c’è in gioco il futuro». I timori che un simile discorso potesse far intuire un raffreddamento nelle relazioni con gli Usa sono stati smentiti dal leader della Camere Jack Straw. «Gordon Brown e George W. Bush non si conoscono bene come si conoscevano Blair e Bush – ha spiegato Straw –, il loro rapporto deve ancora svilupparsi».
Ieri, Brown ha ricevuto il pieno sostegno del premier uscente che si è detto lieto di «appoggiare la sua candidatura come prossimo premier e leader dei laburisti».

«Sono convinto – ha detto Blair – che abbia quello che serve per guidare la Gran Bretagna. In questi anni ha dimostrato, come cancelliere di maggior successo nella storia del nostro Paese, di possedere la forza, l’esperienza e il discernimento per essere un ottimo primo ministro».

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