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"Sono nato in periferia. Ora faccio capire la musica ai signori della Scala"

Scrive le presentazioni dei concerti del più grande teatro del mondo: "Per vivere ho suonato anche nei negozi di moda"

"Sono nato in periferia. Ora faccio capire la musica ai signori della Scala"

«Oh signora che torni nella tua dimora e getti quel programma di sala nel cestino, ricordati che per riuscire a stendere con garbo nero su bianco storia, analisi e curiosità sulle musiche appena ascoltate in teatro ci sono voluti da parte dello scriba decenni, cultura e dulcis in fundo bella scrittura».

Ha quasi un sapore blues l'incipit dell'incontro con Luca Ciammarughi, davanti a un caffè con pasticcini, in un locale del trafficato centro di Milano. Lui, 36 anni, per gli amici stretti è «il Ciamma», professione «nuovo intellettuale-musicista dei tempi moderni», guai a dire tuttologo, storce il sorriso. Per i paragoni si potrebbe dire: una sorta di romantico Robert Schumann degli anni Duemila. Detto più in generale, una inedita figura camaleontica della cultura che strizza l'occhio al mondo mediatico attuale.

E a proposito di mestieri un po' (tanto) librettista lo è, di sala appunto, «colui che presenta i concerti con scritti sui pieghevoli distribuiti all'ingresso dei teatri» scandisce; grazie anche alla sua tormentata giovinezza da cui è emerso con la voglia di riscatto, è una forza della natura come pianista che si cimenta con repertori più sognanti e introspettivi che funambolici; come voce dell'emittente Radio Classica, uno dei più seguiti nell'etere meneghino e sui social. Ma poi, per non farsi mancare nulla, è pure critico e saggista. «Ma come fai-quando mangi-quando dormi?»: per sua ammissione è la domanda che più gli fanno. Prima di tutto, vista la ripartenza delle stagioni sinfoniche e la sua conseguente (ri)chiamata alle «armi», il ritratto dell'impegno come estensore di note divulgative. «Preparo i programmi di sala per la Filarmonica della Scala - attacca -, soprattutto concerti per pianoforte e orchestra. Il mio lavoro è dare una spiegazione dell'opera che poi viene ascoltata che dia al contempo degli elementi di approfondimento anche agli ascoltatori più musicisti»; ma pure «scrivere per un ascoltatore meno esperto». A metà strada tra divulgazione e musicologia, un collegamento tra mondo aulico d'élite e mondo dell'informazione, come a dire: «Datemi un libretto e vi spiegherò un mondo». Fanno lo stesso per la Filarmonica altri critici-musicologi, tra gli altri la voce di RadioRai3 Oreste Bossini, il critico Luca Chierici e il professor Cesare Fertonani. «La cosa più difficile riguardo alle partiture famose - aggiunge - è riuscire a dire cose originali e al contempo non cadere nello scontato, nel troppo specialistico, tantomeno nel pedante». Saper creare narrazioni avvincenti su lavori di Beethoven e Chopin, o trovare le parole per l'ultracontemporaneo Boccadoro. Ma che fatica arrivare fin qui, l'Olimpo della musica.

«Non vengo da una famiglia di musicisti, ma i miei genitori hanno assecondato la mia passione, così come quella dei miei fratelli, uno violinista e l'altro attore-regista teatrale. Vivevamo in periferia, dalle parti di Lambrate, e a 14 anni ho perso il papà, la musica classica è stata anche un modo per buttare fuori il dolore», ricorda. Già la musica, questa «magica signora» come dice lui «anche una forma di auto-determinazione, una rivendicazione di diversità rispetto a un mondo che mi appariva sempre più omologato». In quel lungo periodo non faceva nulla di ciò che appassionava i suoi coetanei: niente discoteche, nessun weekend festaiolo, e poi nemmeno la patente a 18 anni, «che tuttora non ho», ammette. La massima eccitazione «per me era spulciare ogni cassetto del negozio di Ricordi, in cerca di spartiti, o scovare cd al Libraccio, pregustando il piacere dell'ascolto. Poi ho razionalizzato quell'euforia, che era qualcosa di indescrivibile. So che non tornerà più, ma è un serbatoio per la vita intera». In effetti - prosegue - «racconto la mia vicenda per dare un messaggio ai giovanissimi, oggi sempre più in difficoltà, anche nella musica: Mai mollare e mai lasciare che siano gli altri a dirvi come dovete essere». Storia a lieto fine di un riscatto. «Quando papà è scomparso ero un ragazzino e tutto è cambiato ricorda il colpo per tutti è stato durissimo ma siamo andati avanti, mia madre con tre figli a carico, una donna coraggiosissima». C'erano pochi soldi, ma lui studiava piano. Nella sua stanza, ascoltava e suonava Bach e i romantici. Punto di riferimento il pianista milanese Paolo Bordoni, «un padre, è lui che mi ha trasmesso l'amore per Schubert». Musica-àncora di salvezza che lo ha spinto verso un «pianeta artistico di contenuti spirituali, lontano dal virtuosismo che cercavano i miei coetanei che volevano cimentarsi con Liszt e Rachmaninov». In testa agli ascolti la schubertiana Winterreise, ciclo di Lieder che narra il viaggio d'inverno del Wanderer, «il notturno errare di un amante respinto e la ricerca di un senso per la vita». Un senso che ha trovato nella musica classica («già da ragazzo dopo un'infanzia a suon di Beatles, Duran Duran e Prince»), nei concerti che fa numerosi e un po' ovunque con incursioni e location insolite e, ancora, incontri con uomini straordinari: «Beh, quando ero giovane, pur di iniziare a mantenermi, ho fatto in un anno circa 25 concerti alle Messaggerie Musicali di Milano». Nel curriculum uno «show virtuosistico in un negozio di Dolce Gabbana, in un ambiente di gioielli a tanti carati e un pubblico di vip, tra cui una delle più note amazzoni del giornalismo per la moda, Suzy Menkes».

E che emozione poi trovarsi a pochi centimetri dalle star della tastiera Maurizio Pollini e András Schiff, sia come conduttore radio si ricordano le sue interviste a Riccardo Chailly & Co. - sia come «voltapagine, un ruolo tutt'altro che semplice». Come una sfida è stato iniziare ad andare in diretta su Radio Classica, «ero timidissimo, un'esperienza che mi ha sbloccato». Ora è una della voci radiofoniche più gettonate, con anche un pubblico di «signore che dopo le trasmissioni mi stalkerizzano», scherza. Non solo ascolti. In tanti lo seguono sui social: basti dire che ha il più alto numero di follower rispetto ai suoi pari. Una volta una ragazza che lavorava in un hotel lo ha centrato bene: lo faceva sentire sempre ai suoi clienti, perché con lui la musica classica non è noiosa, tratta le classifiche come delle top ten del pop e rock. A uno così non poteva mancare «la penna facile»: «Ho sempre scritto tanto afferma e questo è un periodo fecondo. A parte due cd (uno con Stefano Ligoratti naturalmente su Schubert, e un altro da solista con brani di Rameau, ndr), ci sono i nuovi libri...». Campeggia un po' dappertutto la sua nuova fatica da leggere: «Da Benedetti Michelangeli alla Argerich - Trent'anni con i grandi pianisti». Un sogno? Intervistare Sokolov e Zimerman. Tenendo sempre presente il motto che lo ispira firmato Oscar Wilde: «Il critico deve essere artista.

E l'artista deve essere critico».

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