Vittorio Moretti ha messo a segno un altro colpo. Con l'acquisto, dal Gruppo Campari, delle cantine Sella&Mosca e Teruzzi&Puthod, ha aggiunto 756 ettari di vite ai 328 che già possedeva in Franciacorta e Toscana diventando così la quarta realtà vitivinicola italiana con un fatturato di 63,19 milioni e 9,6 milioni di bottiglie.
Moretti è il signore delle bollicine. Il creatore di vini di pregio e di un marchio universalmente riconosciuto, nato proprio 40 anni fa: Bellavista. Sulla scia, sono nate le etichette Contadi Castaldi, Petra e Tenuta La Badiola.
Sta già pensando ai prossimi passi?
«Vogliamo far crescere le nostre aziende toscane e quelle di nuova acquisizione. Introdurremo prodotti nuovi, più competitivi, adatti anche a un mercato più ampio. Lavoreremo sulla qualità, la quantità invece deve rimanere quella. Poi viene il marketing e infine il commerciale».
Lei ama partire dalla terra, dall'uva
«Per questo stiamo riqualificando i vigneti in Sardegna, vorremmo fare vini più importanti. E si parte dalla materia prima: il vino si fa con l'uva. Bisogna poi guardare sempre di più all'estero, aumentare le esportazioni».
Da un anno è presidente del Consorzio Franciacorta. Come va con l'export?
«Siamo al 12%, quindi l'obiettivo è di portarlo al 40%. Il problema dei nostri vini franciacortini è che si scontrano con lo champagne e i suoi secoli di storia. I francesi, poi, sono venditori per indole. Sono bravi in questo. Ma a livello di qualità, non abbiamo nulla da invidiare».
Battaglia persa in partenza con lo champagne?
«Dobbiamo conquistare i nuovi mercati e quelli dove lo champagne non esercita grande attrattiva. L'Oriente per esempio. Lì ci sono ancora possibilità. Anche se ho visto brindare con bollicine bevendo un bicchiere tutto d'un sorso. Per dire che manca ancora una certa cultura».
Tanto per cominciare, ha coinvolto investitori cinesi. Come è nata l'alleanza con Nuo Capital?
«Cercavamo un partner per sviluppare il mercato asiatico, poi tramite Banca Intesa siamo venuti a conoscenza di una società italiana con capitali cinesi della famiglia di Sir Yue Kong Pao (il magnate dei mari, passato alla storia come L'Onassis dell'Est ndr). Mi ha colpito subito l'affinità tra le nostre due famiglie, sebbene loro abbiano capitali immensi».
A proposito di famiglia. Lei ha tre figlie, tutte impegnate in azienda. Quanto è difficile conciliare le ragioni del cuore con quelle degli affari, essere padre e il gran capo d'azienda?
«I rapporti con i genitori non sempre sono lineari. Ambrosetti mi diceva di non fare l'errore di mescolare business e famiglia. La famiglia è fatta di affetti, e il business di numeri. E' importante che il concetto sia chiaro e si mantenga questa netta divisione».
Lei è riuscito? O meglio, è sempre riuscito?
«Sì, so distinguere. Ho poi avuto la fortuna dalla mia parte dal momento che le figlie hanno attitudini diverse e spendibili nei tre diversi settori».
Le costa delegare?
«Per niente. Anzi, mi piace delegare. Un tempo ero un campione nello staccare la spina. Uscivo dall'azienda e non mi portavo a casa nessun pensiero. Quando staccavo, staccavo sul serio. Ora per la verità questa abilità è un po' sfumata. Sto lavorando sempre di più, e stacco sempre meno».
Del resto, l'azienda è in continua crescita, ciclicamente si aggiunge un pezzo.
«C'entra poi il fatto che mi diverte sempre di più questo lavoro. Inoltre non sono uno sportivo, non ho certi interessi, mi diverto così. Il mio interesse principale è sempre stata la mia famiglia».
Mai sacrificata sull'altare del successo?
«Semmai ha contribuito al mio successo. Un esempio. Alle cene di lavoro non strettamente necessarie, ho sempre preferito quelle con mia moglie. Non ho mai fatto vita mondana».
La secondogenita Francesca è al timone del segmento vini. Una bella responsabilità, un passaggio di consegne determinante
«E pensare che da bimba voleva fare la veterinaria. Le è sempre piaciuto stare in contatto con la natura, ama la terra, quindi a un certo punto è stato naturale assumere il ruolo che le sembra proprio cucito addosso».
Mentre le altre due figlie?
«Valentina è architetto, quindi le ho affidato il settore dell'edilizia. Carmen è estroversa, perfetta per l'accoglienza, non poteva che occuparsi dell'hotellerie».
In un libro ha dichiarato che sua moglie è stata il freno a mano indispensabile per non capottare. E lei non ha mai cappottato
«Eravamo ancora fidanzati quando suo padre le disse, stai attenta perché quello lì corre, dunque frena ogni tanto. Lei ha proprio questo compito: riportarmi sulla terra, trattenermi se necessario».
Tuttavia, per un pragmatico come lei, forse sono sempre voli e corse assennate.
«Amo la solidità, questo è chiaro. Però sono anche un sognatore. Penso a cosa potrei realizzare in più, vado oltre. La prima volta che vidi Sella&Mosca, 25 anni fa, mi dissi: che bella azienda, pensa se un giorno fosse mia. Poi stop, ed ecco che l'opportunità s'è creata. E questo forse anche perché era lì, nella mia testa».
Il 2017 è l'anno degli anniversari: 40 anni di Bellavista, 30 di Contadi Castaldi, 50 per Moretti Costruzioni. E soprattutto: 50 anni di matrimonio.
«Quando ci siamo conosciuti, io avevo 18 anni e lei 16. Quindi in totale sono 59. E siamo sempre andati d'accordo (ndr lo dice con un filo d'emozione)».
E' nato a Firenze, ha trascorso l'adolescenza a Milano, quindi è passato ad Erbusco: perché qui avete le radici.
«Altro che radici. Da parte di mamma, siamo a Erbusco dal 1200, per parte di papà dal 1400, e già a quell'epoca i Moretti erano costruttori».
Perché Firenze?
«Papà era direttore di un cantiere, e in quegli anni era impegnato lì. Poi si spostò a Milano, dove studiai».
Che studente era?
«All'inizio non studiavo, infatti, dopo un primo anno disastroso, papà mi disse: adesso vai a fare il magutt. Se vuoi studiare, lo farai la sera».
E così fu?
«Accettai, a patto che potessi tenere per me qualche soldo».
Finì gli studi?
«Sì, mi diplomai perito edile».
Che rapporto ha col denaro?
«Mi piace e mi è sempre piaciuto averlo e usarlo come mezzo per raggiungere obiettivi. L'obiettivo numero uno è vivere bene, ammetto di non essermi mai fatto mancare niente».
Che difetto si riconosce?
«Sono un pigro.»
Pigro lei? Si fa parecchia fatica a crederle.
«Mi impegno solo in ciò che potrebbe offrirmi qualcosa, che mi può dare una risposta. Non mi attrae la fatica per la fatica, quella dello sport per dire. Mi sono sempre chiesto perché faticare a quel punto. Per quale scopo? Ora faccio lunghe camminate, ma perché so che è determinante per stare bene. Altrimenti me ne starei tranquillo».
A cosa deve il suo successo? Quanto ha inciso la determinazione e quanto la fortuna e l'intuito?
«Gli anni mi hanno convinto di una cosa: il successo è questione di dna. Nelle famiglie ci sono alti e bassi, io sono arrivato in una fase di crescita. Non altrettanto fu per mio nonno e la sua famiglia. I Moretti erano importanti qui a Erbusco, ma all'inizio del secolo scorso morirono in tanti per via della spagnola. Avevano segherie in Valcamonica, e persero tutto. Papà dovette ripartire da zero. E comunque se guardo l'albero genealogico vedo che siamo tutti imprenditori, trovo ben pochi dipendenti».
A proposito del pungolo dell'ambizione. Puntate alla Borsa?
«Perché no. Dobbiamo però raggiungere i volumi richiesti dalla Borsa».
Quanti anni si dà?
«Fra i quattro e i cinque».
Il fiore all'occhiello della sua attività è senza
dubbio il marchio Bellavista. Come si costruisce oggi un marchio?«Un tempo c'era più spazio, noi abbiamo fatto fortuna anche perché abbiamo trovato spazio. Ora, quindi per i nostri figli, l'impegno è mantenerlo».
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