Sono il sogno di ogni bambino e uno dei simboli più amati e conosciuti del nostro Paese. Quando sfrecciano in cielo, seguite dalla loro inconfondibile scia di fumo bianco, rosso e verde, incollano migliaia di persone con il naso in su, pronte ad ammirare e ad applaudire le loro incredibili evoluzioni, dal giro della morte al tonneau, dal volo rovescio alla scampanata eseguite a oltre 500 chilometri orari di velocità. Ecco perché le Frecce Tricolori sono diventate una delle più alte espressioni del nostro orgoglio nazionale. E sono riuscite a salire sul gradino più alto del podio riservato alle migliori pattuglie aeree acrobatiche del pianeta.
A bordo dei loro Mb-339 Pan, tutti blu e attraversati dal tricolore, i dieci piloti sfidano la forza di gravità volando in perfetta sincronia, a pochi metri di distanza gli uni dagli altri come se quelle figure fossero la cosa più semplice e naturale del mondo. Per questo Mirco Caffelli il capo pattuglia - Gaetano Farina, Luca Galli, Emanuele Saviani, Massimiliano Salvatore, Stefano Vit, Mattia Bortoluzzi, Pierangelo Semproniel, Giulio Zanlungo e Franco Paolo Marocco sono delle vere e proprie eccellenze dell'Aeronautica militare italiana. Ma fra loro c'è anche un altro pilota, davvero molto speciale perché lui vola da solo. Si chiama Filippo Barbero, è Pony 10, il solista delle Frecce Tricolori.
Come è cominciata la sua avventura?
«I piloti delle Frecce Tricolori vengono selezionati tra i piloti dei reparti operativi dell'Aeronautica militare. Per questo motivo, il primo sogno da realizzare, forse il più difficile, è proprio quello di conseguire il brevetto di pilota militare, per il quale servono tanto impegno e grande passione».
Si tratta di un percorso lungo e complesso. Lei ha dovuto seguire studi particolari per diventare pilota?
«Come prima cosa mi sono diplomato al liceo scientifico. Successivamente ho partecipato al concorso per entrare in Aeronautica militare come allievo ufficiale pilota di complemento. La mia avventura ha avuto inizio così».
Ricorda il suo primo volo?
«Lo ricordo perfettamente. È stato durante un corso di Cultura aeronautica organizzato proprio dall'Aeronautica militare. Avevo 17 anni e ho pensato vorrei fare questo lavoro».
E cosa ricorda del suo esordio con la pattuglia acrobatica?
«Il mio primo volo ufficiale con le Frecce Tricolori risale al primo maggio 2010 a Rivolto, a conclusione di un lungo inverno di addestramento. Dentro di me ho provato un'emozione forte e indelebile. In quel momento ho capito che si trattava di un sogno che si realizzava».
Ha sempre sognato di diventare pilota?
«In realtà no. Fino a 17 anni, età della mia prima esperienza, pensavo a tutt'altro».
Dietro le vostre evoluzioni si nascondono lunghissime ore di addestramento. Com'è la sua giornata tipo?
«Durante il periodo invernale, quello dedicato quasi esclusivamente all'addestramento, si va in volo due o tre volte al giorno per un totale di circa un'ora e mezza. Ogni decollo viene preceduto da un briefing e seguito da un de-briefing, cioè una riunione post volo, durante il quale si visiona il video dell'addestramento per individuare eventuali errori che andranno corretti la volta successiva».
Siete considerati una fra le pattuglie acrobatiche migliori del mondo. Questo cosa significa per lei e per il nostro Paese?
«Siamo sicuramente la più numerosa, dieci velivoli. È una bella sfida e abbiamo la consapevolezza di portare una pesante eredità costituita dai valori e dalla professionalità di chi ci ha preceduto e insegnato questo lavoro meraviglioso. Facciamo il possibile per esserne sempre all'altezza».
Ci saranno sicuramente tanti ricordi e tante emozioni legate alle sue esperienze in volo. Ci potrebbe raccontare qual è stata, fino a oggi, la più grande?
«Sicuramente il volo eseguito in occasione del 50° anniversario delle Frecce Tricolori nel 2010. Ero alla mia prima stagione in formazione e c'erano più di 300mila persone. È stato incredibile».
Le vostre acrobazie avvengono sempre davanti a migliaia di spettatori sia in Italia che all'estero. Lei cosa prova durante le evoluzioni?
«In volo la concentrazione è massima e non si ha il tempo di emozionarsi. Dopo l'atterraggio, però, mentre rullo per tornare al parcheggio e vedo tutte quelle persone dietro le transenne, mi commuovo e penso alla grande fortuna che ho nel fare il lavoro più bello del mondo».
Il lavoro più bello del mondo è anche molto pericoloso. Lei che rapporto ha con la paura?
«Si prova paura per qualcosa che non si conosce. Un pilota militare è addestrato proprio per far fronte a qualsiasi situazione applicando le procedure note in qualsiasi circostanza. Quello che mi capita di provare è piuttosto ansia da prestazione. È dettata dalla volontà di performare sempre al meglio. Questo proprio perché le Frecce Tricolori hanno il compito di dimostrare la professionalità degli uomini e delle donne di un'intera forza armata, l'Aeronautica militare».
Di recente un bruttissimo incidente ha coinvolto una vostra esibizione a Terracina. Un pilota che precedeva il vostro show è precipitato e ha perso la vita. Lei cosa ha provato?
«Inizialmente ho provato sconcerto e incredulità. Ora provo una grande tristezza e ho la certezza che il vuoto che ha lasciato Gabriele sarà impossibile da colmare».
A quell'incidente ha assistito anche la fidanzata di Gabriele Orlandi. Lei è sposato, pensa mai alla sua famiglia mentre fa il giro della morte?
«Il pensiero va alla famiglia dopo il volo, durante quei 25 minuti la mente è sgombra da qualsiasi pensiero».
A casa hanno appoggiato la sua scelta di diventare pilota? La paura che le potesse succedere qualcosa ha mai rischiato di prendere il sopravvento?
«Sono stato sempre appoggiato al cento per cento. Non credo ci sia mai stata una vera e propria paura: i miei familiari sanno che mi addestro quotidianamente per mantenere gli elevati standard di sicurezza richiesti».
Da due anni lei è il solista della pattuglia, una delle figure più amate e ammirate. Questo ruolo come la fa sentire?
«Da un lato sento forte la responsabilità di far bene e mi impegno a fondo. Dall'altro non posso nascondere una grande soddisfazione. È un incarico meraviglioso».
Le vostre evoluzioni sono tantissime. Ma ce n'è una che preferisce più di tutte?
«Se proprio dovessi scegliere, direi il tonneau lento, che consiste in una rotazione del velivolo eseguita molto lentamente lungo l'asse longitudinale a una velocità di circa 550 chilometri orari. Secondo me rappresenta la sintesi di tutte le manovre acrobatiche e richiede un elevatissimo tasso di coordinazione e precisione».
Qual è, invece, la più complessa da realizzare?
«Ogni manovra ha la sua peculiarità e quella che un pilota potrebbe considerare la più difficile potrebbe essere definita, invece, la più semplice da un altro. È molto soggettivo. La serie di tonneau (sei tonneau consecutivi sull'asse) e il tonneau lento sono sicuramente tra le manovre più tecniche».
C'è una cosa che moltissimi italiani probabilmente si chiedono: cosa si prova davvero a cadere nel vuoto per migliaia di metri e sfiorare la terra con un aereo?
«In realtà si è sempre molto concentrati e l'uscita di una manovra coincide già con l'ingresso della successiva. Quindi le emozioni sono ridotte al minimo e tutto l'impegno è rivolto al rispetto delle tempistiche con la formazione e alla precisione dei parametri».
C'è stato qualcuno, nella sua vita, che le ha fatto venire la passione per il volo?
«Direi di sì, un mio istruttore di volo del 61simo Stormo di Galatina (Lecce) al quale sono molto legato. La passione evidentemente c'era già, ma il suo contributo è stato fondamentale nella mia formazione. Gli sono enormemente grato».
Il calendario delle Frecce Tricolori è fittissimo, sia in Italia sia all'estero. C'è un posto in particolare sul quale le è piaciuto volare?
«Ho un bellissimo ricordo della manifestazione aerea che si è tenuta a Mosca nel 2012. Una location davvero affascinante per un air show e un pubblico numerosissimo come non mai».
Qual è, invece, il luogo nel quale le piacerebbe esibirsi?
«Mi piacerebbe fare un tour delle grandi città italiane, tutti i capoluoghi in modo da portare il nostro Tricolore in giro per la penisola».
Le Frecce Tricolori sono un simbolo dell'Italia, fortemente patriottico. Questo la fa sentire orgoglioso?
«Far parte delle Frecce Tricolori mi rende molto orgoglioso, ma allo stesso tempo sento forte la responsabilità di mantenere la prestazione al livello della fama conquistata da chi ci ha preceduto».
Il vostro è anche un lavoro di team, che richiede molta unione e collaborazione reciproca. Lei e i suoi colleghi avete l'occasione anche di condividere qualche momento libero?
«Trascorro con loro tanti momenti liberi, soprattutto durante l'estate, quando nel fine settimana siamo lontani da casa per le manifestazioni della stagione acrobatica. Il legame che ci unisce è forte e unico».
Le capita mai di pensare al suo futuro? Cosa farà quando avrà finito con la pattuglia acrobatica?
«Le Frecce Tricolori rappresentano una parentesi durante la vita operativa dei piloti. Come i miei colleghi, farò ritorno a uno dei reparti operativi dell'Aeronautica militare».
Oltre alla responsabilità e all'orgoglio il suo lavoro le regala una notevole popolarità. Le capita mai di essere riconosciuto quando cammina per strada?
«In realtà non mi succede quasi mai. Gli appassionati conoscono le Frecce Tricolori, non i singoli piloti. Questo è uno degli aspetti magici del nostro lavoro: i protagonisti cambiano ma le emozioni che la gente prova rimangono immutate. È meraviglioso ed è giusto che sia così».
Però almeno nel suo paese, Albenga, lei sarà diventato famoso. Come la accolgono i suoi concittadini quando torna a casa?
«Sono sempre accolto molto bene. Quando rientro ritrovo i vecchi amici e si fa subito festa».
Quindi, nonostante gli impegni, riesce comunque ad avere una vita normale?
«Decisamente sì, amo passare il tempo con gli amici e ho numerosi hobby fra i quali il ciclismo, lo sci e il calcetto».
Ci potrebbe raccontare un aneddoto al quale è particolarmente legato?
«Non potrò mai dimenticare quel giorno nel 2014, quando il mio comandante di allora mi chiamò nel suo ufficio per informarmi che sarei stato io il solista a partire dalla stagione acrobatica successiva».
Se un bambino le dovesse confidare di voler diventare pilota militare, lei cosa gli risponderebbe?
«Ne sarei assolutamente felice, è veramente un lavoro bellissimo. Gli direi che c'è tanto da studiare e bisogna fare dei sacrifici, ma le soddisfazioni sono enormi. Gli direi di non mollare e inseguire sempre il suo sogno».
Il suo sogno lavorativo è riuscito a realizzarlo. C'è ancora qualche desiderio chiuso in un cassetto?
«Sì, mi piacerebbe moltissimo riuscire a salire sul Monte Bianco».
C'è qualcosa che a bordo del suo aereo non farebbe mai?
«Sono tante le cose che non bisogna fare con un aereo. La più importante è mancargli di rispetto».
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