«Pecunia non olet», il denaro non puzza, spiegava limperatore Vespasiano. E il petrolio neppure, aggiungerebbero iraniani ed israeliani. Per capirlo basta visitare Rotterdam e i suoi giganteschi depositi di greggio. Lì gli annunci del presidente Mahmoud Ahmadinejad sulla cancellazione dello Stato ebraico e le richieste israeliane di vigorose sanzioni per bloccare il nucleare iraniano fanno i conti con lantica logica del profitto. In quel porto olandese, come ha scoperto il sito israeliano Energiaweb, il greggio proveniente dallIran subisce un processo di «decontaminazione politica» che lo porta alle raffinerie di Haifa e quindi ai serbatoi di automobili e carri armati israeliani. Ovviamente tutti smentiscono. Negano gli addetti stampa dellambasciata iraniana di Londra escludendo rapporti tra la Repubblica islamica e «compagnie collegate ad Israele». Smentisce, ma con circospezione, il portavoce del ministero delle Infrastrutture Nazionali di Gerusalemme dichiarando che «il Paese acquista dai più grandi produttori del mondo e non cè modo di sapere da dove provenga il greggio».
Moshe Shalev, autore dellarticolo di EnergiaWeb, ha però ricostruito linconfessabile quanto antica relazione commerciale. Secondo una «gola profonda» di Bazan, la più grande raffineria israeliana situata a Haifa, laccordo indecente risale ai tempi dello scià. LIran, stretto alleato degli Stati Uniti, chiude allora un accordo con la Eilat Ashkelon Pipeline, la compagnia israeliana responsabile delle importazioni di greggio iraniano attraverso il porto di Rotterdam e loleodotto che allepoca collega i due Paesi. La rivoluzione khomeinista porta alla chiusura delloleodotto, ma non compromette le transazioni di Rotterdam, dove il greggio scaricato dalle petroliere iraniane passa nella pancia di quelle israeliane utilizzando la mediazione di altre compagnie. E la Eilat Ashkelon, secondo Shalev, continuerebbe a utilizzare la triangolazione olandese per acquistare il petrolio degli ayatollah e trasferirlo agli impianti di raffinazione della Bazan di Haifa.
Dopo queste rivelazioni Moshe Shahal, ministro dellEnergia israeliano dal 1984 al 1990, ammette di aver a suo tempo approvato lacquisto di partite di greggio libico o siriano e di non poter quindi escludere che il carburante venduto oggi alle pompe israeliane derivi dal greggio iraniano. «Non vedo problemi se quel greggio arriva in Israele, a patto che non venga acquistato direttamente da Teheran», spiega il pragmatico ex ministro ricordando che durante il suo mandato lunica vera discriminante era lacquisto di «greggio di buona qualità». A garantire la forma ci pensa, sostiene lex ministro, il mercato.
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