Sorpresa, non emigriamo più Solo 4 su cento pronti a partire

Eravamo quelli con la valigia di cartone tenuta chiusa dallo spago, in fila a Ellis Island, le scarpe rotte e il profumo di arance nel cuore. Dall’800 agli anni Cinquanta del secolo scorso, assieme a irlandesi, portoghesi, spagnoli e polacchi, siamo fuggiti dalla miseria sognando gli Stati Uniti, il Sud America, l’Australia o più semplicemente l’Europa.
Oggi, i numeri raccontano un’altra storia: gli italiani non soltanto non emigrano più (certo, stiamo parlando di un mondo molto cambiato e di condizioni di vita diverse), ma fanno anche fatica ad accettare offerte di lavoro all’estero. Un sondaggio di Eurobarometer spiega come gli italiani siano in Europa, dove da decenni è possibile trasferirsi liberamente da un Paese all’altro per lavoro, quelli che si muovono meno: solo il 4% pensa a un futuro lavorativo all’estero, contro il 51% dei danesi, il 38 degli estoni e il 37 degli svedesi.
Il Wall street journal, che riprende sul suo sito il sondaggio, azzarda un’analisi non proprio scientifica: la predominanza di cittadini dei Paesi nordici e baltici tra quelli più propensi a muoversi suggerisce che il clima abbia a che vedere con le scelte personali. Ed è probabile che gli italiani all’estero sentano presto la mancanza delle gentili previsioni del tempo di casa. Non si fa però cenno alle condizioni climatiche nel sondaggio, che prende invece in considerazione la qualità della vita. Soltanto il 23% degli italiani si trasferirebbe alla ricerca di migliori standard di vita, contro il 47% degli ungheresi. L’italiano dunque, suggeriscono i numeri, resta a casa perché è lì che vive meglio e perché riesce, nonostante la crisi e il tasso di disoccupazione all’8,7%, a trovare alla fine un lavoro entro i confini nazionali. Soltanto il 39% degli intervistati nel 2009, infatti, sarebbe disposto a trasferirsi se non trovasse un’occupazione in Italia, il 29% in meno rispetto al 2005.
«Confermo i dati - spiega al Giornale un dirigente di Gi International, ala internazionale dell’agenzia per il lavoro Gi Group -. Siamo i meno mobili nel mondo lavorativo. Noi abbiamo bisogno di personale italiano che vada all’estero, ma facciamo fatica a trovarlo». Le ragioni, racconta, sono diverse: la lingua (conosciamo poco l’inglese); la scarsa adattabilità degli individui, soprattutto legata a questioni alimentari; la famiglia (moglie e figli preferiscono non trasferirsi). Il 31% degli italiani dice di non essere pronto ad andare all’estero a causa della famiglia. «Gli unici Paesi in cui andrebbero a vivere sono Stati Uniti, Inghilterra, Spagna», dice, confermando i dati di Eurobarometer: il 21% dei lavoratori sogna l’America, il 16 la Gran Bretagna, il 13 la Spagna. «Difficile invece trovare personale interessato a spostarsi in Polonia, India, Cina...». I giovanissimi sono più interessati a muoversi: «Non vedono l’ora di partire ma non sono ancora formati professionalmente».
Il fattore età è centrale. Per Giuseppe Castelli, capo del personale della Perfetti Van Melle, gigante alimentare italiano - nell’immaginario comune la mamma della “Gomma del Ponte”- «non è semplice trovare qualcuno che voglia andare all’estero e molto dipende dall’età. Entro i 30 anni aumenta la disponibilità. Oltre, subentrano vincoli familiari, diventa più complicato». All’Eni, l’azienda energetica italiana, la maggior parte dei dipendenti dispiegati all’estero, tra pozzi, cantieri e piattaforme, è ancora italiana, racconta un dirigente della società. Ma sono sempre di più i lavoratori indiani, Sudamericani, egiziani... Le aziende di costruzioni italiane in Africa utilizzano sempre più personale straniero: mancano lavoratori pronti a lasciare casa. Il dirigente di Gi International porta ad esempio il caso di un’azienda italiana di macchinari destinati a un Paese straniero: «Ha faticato a trovare qui montatori per trasferte lunghe. Noi abbiamo appena aperto in Inghilterra un centro di reclutamento per la manutenzione di aerei in un Paese terzo. Lo abbiamo fatto lì perché sappiamo che c’è più disponibilità ai viaggi».


Il problema della mobilità, spiega Enrico Pugliese, autore di L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, è anche culturale: «È noto che gli italiani facciano fatica a trasferirsi all’estero, si muovono poco perfino all’interno del Paese, anche se il flusso da Sud a Nord resta intenso (vedi box in pagina, ndr). Non è come in America che uno nasce a New York, studia a Cleveland e finisce a San Francisco».

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