Politica

LA SPALLATA AL CAVALIERE

Molti mi chiedono che cosa stia accadendo dentro la Casa delle libertà. In particolare vogliono capire come si comporterà l’Udc. «Che hanno in mente gli ex democristiani? Votando sì al decreto sulla missione in Afghanistan staranno mica preparandosi a fare il salto della quaglia?», mi domandano sospettosi i miei interlocutori. Pur non sapendo quel che frulla in testa a Pierferdinando Casini, provo a rispondere.
Conosco l’ex presidente della Camera da una dozzina d’anni, da quando naufragò la Dc e lui riuscì a salvarsi aggrappandosi a una modesta zattera, il Ccd, un partitino che nelle acque agitate del passaggio fra la prima e la seconda Repubblica tenne a galla anche Clemente Mastella.
Se devo giudicare dalla frequentazione pluriennale, Casini, appoggiando il rifinanziamento delle operazioni a Kabul, con conseguente salvataggio di Prodi da un quasi certo autoaffondamento a opera della maggioranza, non progetta lo sbarco nel centrosinistra. Innanzitutto perché il soprannome che Dagospia ha coniato per l’ex numero uno di Montecitorio – Pierfurby – gli si attaglia davvero. Casini non ha nessuna voglia di fare da stampella a un governo sciancato. Se si unisse adesso all’armata Brancaleone che occupa Palazzo Chigi, al massimo gli toccherebbe uno strapuntino, perché i posti comodi sono già tutti occupati.
Alla Camera s’è installato il rifondatore comunista Fausto Bertinotti e cadesse Prodi, e financo il mondo, per levarlo da lì ci vorrebbero solo nuove elezioni. Massimo D’Alema, trombato sulla via del Quirinale, prima di cedere la poltrona di ministro degli Esteri, dopo aver fatto bombardare i comunisti di Belgrado sarebbe capace di fare altrettanto con quelli di casa nostra. Pier Ferdinando dovrebbe dunque accontentarsi di un posto da ministro degli Interni, ossia di fare la bella (o brutta) copia di Beppe Pisanu. No, assolutamente non ci siamo. L’ex presidente di uno dei rami del Parlamento vuole di più: è ambizioso e giovane quanto basta per pensare in grande.
E allora perché si comporta così? Non sarà stato folgorato sulla via di Paolo, nel senso di Mieli, direttore del Corriere, che ogni giorno fa scrivere ai suoi editorialisti lo stesso fondo sulla necessità di un’opposizione responsabile, tale da salvare il soldato Prodi? No, niente folgorazione. La verità è che, a differenza del Cavaliere, Casini non crede che la spallata al governo sia prossima. E in questo non posso dargli torto. Chi si illude che l’armata Brancaleone sloggi in fretta fa male i suoi conti: Prodi non cadrà, e non perché la sua poltrona sia salda, ma perché il collante del potere contribuisce a rinsaldarla.
E dunque? Casini non crede alla spallata a Prodi, ma in quella a Berlusconi sì. L’idea di Pierfurby è che per il Cavaliere sia giunta l’ora di farsi da parte e vuole separare il suo destino da quello del leader che lo ha sin qui tenuto a galla. Convinto che l’attuale maggioranza durerà due o tre anni, se non tutta la legislatura, egli vuol farsi trovare preparato all’appuntamento, con un partito nuovo di zecca e una leadership altrettanto luccicante. Insomma, il Cav. deve cedergli il posto. Del resto questo era il chiodo fisso anche di Marco Follini, il quale aveva un progetto politico riassumibile in due paroline: liquidare Berlusconi. Come è finita, si sa.
Indubbiamente Casini è più scaltro del suo ex segretario, mentre Berlusconi si ritrova con qualche anno in più e perciò non è detto che gli riesca quello che gli riuscì dieci anni fa, ossia di tener unito il centrodestra stando all’opposizione. Se comincia a perdere qualche pezzo, è spacciato. Il capo spirituale dell’Udc prova dunque a togliere la terra sotto i piedi del Cavaliere, approfittando degli sbandamenti dell’opposizione e della comprensibile stanchezza di Berlusconi.
Riuscirà nel suo disegno? Non credo. Non tanto perché io sia arciconvinto che Berlusconi non mollerà mai, ma perché il Cav. è un combattente che non accetterà di farsi buttare fuori scena da una sgomitata degli alleati. Ha resistito alla cavalleria giudiziaria e a quella giornalistica. Sono dodici anni che evita i tranelli: i calci negli stinchi sferrati dal leader dell’Udc non serviranno a farcelo finire dentro. Anzi, più questo gliene rifila e più quello tiene duro.
Ciò che Casini non comprende è che senza un’intesa con Berlusconi i suoi sogni sono destinati a infrangersi. È un inutile braccio di ferro: se qualcuno vuole ereditare dal Cavaliere la guida del centrodestra, deve accordarsi con lui. Scorciatoie non ne esistono.

E le spallate, al massimo, rischiano di fratturare la spalla a chi le dà.

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