Cronache

La spedizione dei Mille? Un esercito di professori

La spedizione dei Mille? Un esercito di professori

L'intera spedizione venne ideata, progettata e realizzata a Genova. Liguri, del resto, erano il comandante, Giuseppe Garibaldi, e il suo luogotenente, l'iroso e coraggioso Nino Bixio. Così come ligure era buona parte di quei 1089 volontari che la sera del 5 maggio 1860 si imbarcarono dagli scogli di Quarto sulle scialuppe che li avrebbero portati a bordo dei due piroscafi «Piemonte» e «Lombardo». Destinazione: la Sicilia. Scopo del viaggio: scacciare i Borboni, e il loro alleato austriaco, per unificare l'Italia.
A raccontare i risvolti e le piccole e grandi tragedie che diedero un alone di leggenda a quell'incredibile avventura, è il giornalista e scrittore Claudio Fracassi nel suo libro «Il romanzo dei Mille» edito proprio in questo periodo da Mursia. Abituati come siamo a ragionare in termini di Italia dall'Alto Adige alla Sicilia, pur tra le mille contraddizioni e il velato razzismo che ancora oggi si sente quando ci si confronta tra appartenenti a regioni diverse, non molti si rendono conto di quello che Garibaldi e i suoi riuscirono a fare 150 anni fa. La stessa figura del celebre condottiero, che era già un vero e proprio mito mondiale ai suoi tempi, viene di volta in volta contesa tra destra e sinistra, a seconda delle circostanze. E questo a prescindere dal fatto che l'unica cosa che importava davvero al Generale era riunificare l'intero territorio italiano, scacciando ogni forma di dominio straniero dal Paese. Certo avrebbe preferito un'Italia repubblicana, come il suo amico Mazzini, ma con sano realismo sapeva che i tempi non erano ancora maturi. E così portò fino in fondo la sua impresa al motto: «Viva Vittorio Emanuele II, re d'Italia».
Dal momento che una crassa ignoranza domina da parecchio tempo nella Tv di Stato, una squallida fiction Rai del 2006 dipingeva la stragrande maggioranza dei garibaldini come manovali semianalfabeti, provenienti in larga parte dal Sud. Niente di più falso. Come racconta Fracassi, dei Mille 163 venivano dalla provincia di Bergamo; un centinaio da Sicilia, Calabria e Napoletano; 72 i milanesi; 59 i bresciani; 58 i pavesi; 112 i toscani. Ma c'erano anche ungheresi, polacchi, inglesi, tedeschi e un turco. La metà dei volontari lavoravano come «operai di città» o artigiani, solo uno si dichiarò «contadino». Molti erano studenti, cento i medici, più di 200 gli avvocati, insegnanti e professionisti; tre preti, una decina di artisti, pittori e scultori. Come uno storico del tempo ebbe a dire, «quel piccolo esercito fu uno dei più colti che la storia ricordi».
Il più anziano era un genovese, Tommaso Parodi, di 70 anni; il più giovane era un ragazzino di Chioggia, Giuseppe Marchetta, di 11 anni, che viaggiava insieme al padre medico. Se l'era portato dietro perché non aveva nessuno al quale lasciarlo. L'unica donna della spedizione, che viaggiava in abiti maschili, era Rosalia Montmasson, nata in Savoia, trentacinquenne moglie di Francesco Crispi.
Il libro, pur essendo un saggio storico, si legge davvero con la leggerezza di un romanzo. Avvalendosi delle testimonianze che ha scovato un po’ dovunque, Fracassi ricostruisce l'atmosfera che ha preceduto, e poi accompagnato, l'intera pazzesca avventura. Perché non c'è dubbio che i Mille, boicottati in tutti i modi da Cavour, riuscirono a compiere un'impresa che non ha eguali nella storia: un pugno di uomini mise in fuga un esercito regolare di decine di migliaia di soldati armati di tutto punto.
Tanto per chiarire alcuni spunti politici del tempo, il primo ministro di Casa Savoia, Camillo Benso, conte di Cavour, detestava Garibaldi e trafficava per realizzare quello che, nella sua immaginazione, doveva diventare il Regno del Nord. In altre parole, immaginava un grande Piemonte i cui confini meridionali non superavano quelli dell'Emilia Romagna. Per cui tutta quella foga di Garibaldi e soci, che non vedevano l'ora di dare un calcio nel sedere a Francesco II di Borbone e agli austriaci, lo spaventava non poco. Non riusciva a ragionare in termini nazionali. Il problema, per lui, era che l'intera corte di Torino, re compreso, tifavano per Garibaldi. Così come l'opinione pubblica italiana e mondiale. Negli Stati Uniti il «New York Times» paragonava Garibaldi a George Washington; il «New York Herald» si spinse al punto di giudicare l'impresa «un evento che non ha l'uguale nei tempi moderni». Senza parlare dell'appoggio popolare. In Sicilia le truppe garibaldine vennero raggiunte da migliaia di volontari provenienti da Algeria, Turchia, India, Canada, Serbia, Albania, Polonia, Istria, Dalmazia, Francia e Russia. Vennero formate una «compagnia svizzera» e una «compagnia ungherese» di 440 unità. Persino un gruppo di giovani americani raggiunse Garibaldi, combattendo nelle ultime fasi della spedizione. Tra una battaglia e l'altra divenne leggendaria la figura di John Whitehead Peard, giornalista britannico, che, inquadrato nella Compagnia di Pavia, era scherzosamente chiamato «The Garibaldi's Englishman». La spedizione dei Mille era tanto popolare in Europa che gli operai dell'arsenale di Glasgow, in Scozia, subito seguiti dagli scaricatori portuali di Liverpool, fecero gratis turni di lavoro straordinario per comprare e spedire in Sicilia munizioni e pacchi sanitari. E in tutta l'Inghilterra si organizzarono concerti e spettacoli per devolvere l'incasso alla causa dei Mille. Del resto, come fa notare Fracassi, i maggiori esponenti del governo liberale della Regina, il primo ministro Palmerston e il ministro degli Esteri Russel, parlavano bene l'italiano e avevano molti amici italiani. E che ci fosse una vera e propria ondata di simpatia verso Garibaldi e i suoi lo dimostrano anche le raccolte di fondi che illustri personaggi come Charles Darwin, lo scienziato della teoria dell'evoluzione, e la vedova di Lord Byron, attivarono. Ma anche in Francia personaggi come Victor Hugo, esule a Londra, e la scrittrice George Sand, fecero sentire la loro voce in difesa di Garibaldi. Mentre i francesi leggevano le gesta dei Mille nelle corrispondenze pubblicate su «Le Siecle» dal grande scrittore Alexandre Dumas, che seguiva la spedizione al fianco di Garibaldi.
Non anticipo nulla dei risvolti della spedizione, sia di quelli curiosi che di quelli drammatici, per non togliere a nessuno il gusto della lettura. Solo un appunto: il volume è tanto appassionante che poteva andare ben oltre la sua attuale conclusione. Dopotutto, il libro di Giuseppe Cesare Abba con la storia dei Mille si intitolava «Da Quarto al Volturno». Anche il libro di Fracassi aveva tutte le carte in regola per arrivare fino al Volturno, invece di fermarsi in Sicilia.
Il romanzo dei Mille di Claudio Fracassi, Mursia Editore, 418 pagine, 19 Euro.


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