Ma con lo "spesometro" è in gioco la privacy

L’obbligo di trasmettere al fisco, a partire dal prossimo primo gennaio, ogni transazione superiore ai 3mila euro sta suscitando più di un allarme. L’obiettivo di questo «spesometro» introdotto con la manovra di luglio è chiaro: ora che il debito pubblico è alle stelle e minaccia il futuro del Paese, dato che si è incapaci di ridurre le uscite si cerca di aumentare le entrate contrastando l’evasione. Tale nuove norma non comporta però soltanto un’accresciuta pressione fiscale e un’ulteriore dilatazione degli oneri burocratici in capo alle imprese. Ci sono pure altre considerazioni da farsi.
In primo luogo, ogni società liberale deve salvaguardare al massimo grado la riservatezza della vita privata. Per quanti credono che una società giusta è quella che protegge con rigore lo spazio delle scelte individuali, è necessario che si eviti ogni occhiuta curiosità e ogni indebita ingerenza. Quando a fine Settecento il filosofo inglese Jeremy Bentham ideò il Panopticon - un carcere a forma circolare che permettesse a un unico carceriere di osservare in ogni momento tutti i prigionieri - egli offrì il paradigma della società totalitaria: come quella società in cui alcuni uomini sono in grado di spiare il resto della comunità e, di conseguenza, di condizionarne i comportamenti. Di seguito, molte delle utopie negative reali o letterarie avranno proprio questa caratteristica, a partire dal celebre «1984» di George Orwell.
Per di più, troppi «servitori dello Stato» - come hanno illustrato talune recenti cronache - non si tirano indietro quando si tratta di utilizzare per fini disonesti le informazioni di cui sono venuti al corrente nel corso delle loro attività. In tal modo, invece che tutelare l’individuo, lo Stato diventa la principale fonte di minacce per l’autonomia dei singoli.
In secondo luogo, lo spesometro è solo l’ultimo passo compiuto verso l’edificazione di uno «Stato di polizia tributaria» - la felice espressione è di Giordano Masini - che già annovera il redditometro e quell’istituto giuridico del solve et repete in ragione del quale l’accertamento fiscale è un titolo immediatamente esecutivo. Anche se c’è stato un errore dell’amministrazione, prima devi pagare e poi eventualmente farai ricorso.
Quel che è peggio, è che tale perdita di attenzione per le libertà fondamentali sta progressivamente rendendo l’Italia un Paese sempre meno ospitale per chi voglia lavorare, intraprendere, realizzare profitti. La ragnatela delle burocrazie pubbliche, che affida proprio all’apparato tributario la propria speranza di continuare a espandersi, toglie insomma alle imprese spazi progressivamente più estesi.
Non bastasse questo, all’interno dei Paesi industrializzati l’Italia è già al terzo posto per la quota di ricchezza sottratta dal fisco.

Ci battono solo Svezia e Danimarca, che però offrono servizi migliori e hanno una regolamentazione meno asfissiante. C’è poco da fare: anche alla luce dello spesometro, quello in cui viviamo non è più un Paese per imprenditori.

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