50 tonalità di Gaber: quel sincero disilluso che ha svezzato quattro generazioni

Un triplo cd con le migliori canzoni del canta-attore interpretate dai big della musica italiana. Da Baglioni a Ruggeri, dalla Pausini a Dente

50 tonalità di Gaber: quel sincero disilluso che ha svezzato quattro generazioni

Tutti insieme. In tre cd con rarità. E con un solo obiettivo: celebrare Giorgio Gaber dieci anni dopo.
...io ci sono» , che uscirà martedì prossimo, è il più colossale tributo mai riservato a un artista italiano: cinquanta voci, le più significative, quelle che confermano l’attualità trasversale del più libero dei cantanti pensatori, il Giorgio Gaber nato Gaberscik nel 1939 e morto all’inizio del 2003, germogliato nel primo rock’n’roll italiano e poi sublimato dal teatro canzone. Da Celentano a Ligabue. Da Battiato agli Articolo 31 fino a Jovanotti, Van de Sfroos e Ornella Vanoni o Ligabue o Nannini o Emma Marrone.

Basta dare un’occhiata alla scaletta (e agli abbinamenti di ciascun artista alle singole canzoni) per cogliere quanto Gaber sia in grado di rappresentare non solo quattro generazioni di ascoltatori ma proprio quattro generazioni di italiani tout court. «Ha avuto un talento incredibile nel precedere altri arrivati successivamente» ha riassunto proprio Baglioni. E occhio: quelle di ...io ci sono sono interpretazioni tutte dal vivo, registrate durante il Festival che ogni anno si tiene a Viareggio ed è diventato la mecca dei gaberiani, di quelli d’antan ma soprattutto di chi piano piano si accorge che gran parte della nostra canzone d’autore è giocoforza passata attraverso di lui o, paradossalmente, «contro» di lui. Perciò ...io ci sonoè un manuale della contemporaneità sin dal primo brano Ciao ti dirò , il primo successo e l’ultimo interpretato in tv, con l’amico Celentano durante lo show 2125 milioni di caz...te . Il debutto e la fine. Un cerchio che si è chiuso con quella perfida fatalità che spesso accompagna i grandi.

Nel 1958 Gaber aveva addosso quella milanesità nebbiosa e fertile che, dopo Una fetta di limone con Jannacci (che la canta anche qui) e la superclassica Le strade di notte ( un ottimo Baglioni), sbocciò nella Ballata del Cerutti (scritta con il grande Simonetta e qui interpretata dal milanese Vecchioni) e poi si snodò per quarant’anni con brani che vivono vite alterne, costanti nel peso artistico ma volubili nel rilievo che di volta in volta assumono. Ad esempio Destra sinistra (qui affrontato ma non domato da Marco Mengoni) nel 1994 sembrò uno sfogo cinicamente compiaciuto ed esageratamente polemico. Oggi è lo slogan bipartisan più citato da politici e intellettuali proprio perché così attuale da essere implacabile. Soprattutto incontestabile. Come Qualcuno era comunista , frutto superbo dell’intreccio creativo con Luporini: nel 1992 stordì molti e infastidì altrettanti. Quando la cantò al Festival Gaber, dieci e più anni dopo, Ligabue riuscì a conservare la bidimensionalità dei versi, zuppi di disillusione eppure sincera. In fondo Gaber è stato il pioniere della disillusione. Era disilluso anche mentre era illuso, forse inebriato, comunque entusiasta persino cantando la sconfitta di una generazione.

Lo dimostra il candore paterno di Non insegnate ai bambini , quasi inno conclusivo della sua carriera che qui la Pausini rende a modo proprio, con intensità.E poi spiega:«Sarebbe molto interessante che un giovane si avvicinasse alla sua musica per ritrovare nel coraggio e nella poetica dei testi le emozioni che ho provato io».

Diavolo di un Gaber. Viveva, dopotutto, nel Luogo del pensiero (qui brava e personale Andrea Miròche ha scelto di cantarla per sincera sintonia) che non ha confini al punto da accettare qualsiasi cittadinanza. E lo conferma Patti Smith in I as a person , tradotta da Io come persona e interpretata pochi mesi fa con quell’inaudita intensità che nasce dal confronto tra mondi lontani ma chiaramente compatibili. E la scintilla generazione si coglie proprio seguendo, passo dopo passo, l’andamento cronologico dei dischi, dalla prima canzone fino all’ultima.

Gaber non era soltanto Il signor G (qui interpretata come sa fare Daniele Silvestri) e Il signor G era una parte, una delle tante, di Gaber. Come Torpedo blu , che Lucio Dalla ha riportato per mano al 1968. E come Pieni di sonno che l’ enfant prodige Dente ha reso cantautorale alla maniera del 2010: «Dopotutto- spiega - con il Teatro Canzone lui si è sganciato dalle carriere che hanno fatto gli altri esplosi nei ’60». Non per nulla ci sono voluti cinquanta artisti (più tanti omaggi come la poesia di Renato Zero, compresa nella versione deluxe) per completare la mappa creativa di Giorgio Gaber. «Con un dettaglio poteva scrivere una canzone.

Il suo era un teatromondo », ha detto Enrico Ruggeri dopo aver preso Un’idea del '72 e averle dato la sfumatura della propria generazione.

Una delle quattro che sono state svezzate da quel signore milanese che, parlandoci di lui, ha fatto capire quasi tutto di noi.

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