Almeno Santa Cecilia tiene alto il nome di Roma

Mentre la colonna sonora che si alza dai colli di Roma ci ricorda la marcia al patibolo della Sinfonia fantastica di Berlioz e dal Campidoglio cascano ogni giorno le tessere del mosaico «Capitale» - senza nemmeno l'alibi di uno scossone tellurico - il grande ciclo di poemi sinfonici di Bedrich Smetana, La mia patria, eseguito nella stagione concertistica di Santa Cecilia (e diffuso da Rai 5), ci ha portato il soffio vigoroso di un tempo antico di eroismi e passioni. In quel fiume di musica che sancisce l'ingresso della nazione ceca nell'aristocrazia musicale europea del tardo Ottocento, abbiamo scoperto nel trentacinquenne moravo Jakub Hrua un direttore d'orchestra già in possesso di tante, ottime qualità: concertatore incisivo dal gesto concreto (quando aumenterà l'indipendenza della mano sinistra, la maturazione della tecnica gestuale sarà completa), ottimo «anticipo», temperamento deciso e gusto sempre vigile senza pesantezze retoriche.

Sotto la sua galvanizzante guida l'Orchestra ceciliana conferma di vivere una delle sue stagioni migliori (i meriti sono da dividere fra i signori professori d'orchestra e il direttore musicale), in controtendenza con quanto accade sull'avvilente scena politica dell'Urbe. Una consolazione non trascurabile in questi tempi di confusione e scoramento, anzi uno sprone a rialzarsi dalla polvere, altrimenti l'elmo di Scipio rimane la maschera di ferro.

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