"Amante perfetto, marito abominevole". Hemingway visto dalle sue quattro mogli

Naomi Wood racconta il grande scrittore attraverso amori e colpi bassi

"Amante perfetto, marito abominevole". Hemingway visto dalle sue quattro mogli

Forse, per una volta, il titolo della traduzione italiana è più fedele dell'originale. Arriva nelle nostre librerie Quando amavamo Hemingway di Naomi Wood (De Agostini, pagg. 256, euro 16,90). L'originale Mrs Hemingway non rende il senso dell'operazione. Dopo anni di ricerche, l'autrice ha confezionato una storia della vita sentimentale dell'autore di Addio alle armi basandosi soltanto su confessioni, racconti e descrizioni delle quattro donne che ebbero la forza (o la debolezza) di dire sì alle sue proposte di matrimonio. Hadley Richardson, Pauline Pfeiffer, Martha Gellhorn e Mary Welsh si alternano nel racconto.

Ernest conosce Hadley Richardson in casa di Bill Smith a Chicago (ma nel libro l'incontro è più romanzato e avviene a una festa). Sono entrambi spiantati e quando emigrano a Parigi sperimentano l'invidia sociale e l'insicurezza. Lei si limita a far la moglie mansueta e devota. Sopporta tutto (soprattutto i tradimenti) sapendo che se non asseconda Ernest in tutto non escono gli articoli e non vengono pubblicati i libri, rischiando così di non mettere insieme il pranzo con la cena. Nella Parigi poi descritta con vivace intelligenza in Festa mobile, i signori Hemingway fanno la conoscenza di Pauline Pfeiffer, eccentrica ereditiera più a proprio agio della impacciata Hadley nei salotti parigini e nel cenacolo che si raccoglie intorno a Gerald e Sara Murphy, la coppia di mecenati newyorkesi. Proprio a casa loro Hemingway incontra Pauline. La quale diventa prima la sua amante e poi sua moglie. Sono gli anni in cui Hemingway soffre il confronto con Fitzgerald (che definisce «un idiota di grande intelligenza») e ambisce a essere letto da «milioni di cretini piuttosto che da pochi critici esigenti». La Wood non perde tempo a contestualizzare e storicizzare gli amori di Hemingway. D'altronde sul tema c'è già un'abbondante bibliografia: dal memoir dell'ultima moglie, Mary, al libro The Paris Wife di Paula McLain fino al lavoro di Ruth Hawkins sul matrimonio Pfeiffer-Hemingway. Ma trae abbondanti spunti da questo materiale per isolare il vissuto più profondo: i sentimenti e le paure delle mogli di Hemingway. Senza tralasciare, con un leggero gusto sadico, le malizie e i colpi bassi che si diedero a vicenda. Martha Gellhorn, forse la figura che meglio emerge dal libro, ci appare subito nelle parole della Pfeiffer: «Miss Gellhorn, scrittrice, reporter di guerra e ladra di mariti».

A finire sul banco degli imputati, però, è sempre lui. Il perno attorno cui tutto ruota. L'uomo malato di egoismo (anche come padre), di esuberanza sbruffona, colpevole di una bellezza e di un fascino fastidioso. Fin dalle prime pagine si intuisce come andrà a finire. «A Parigi racconta Hadley nel primo capitolo la bellezza di Ernest è sulla bocca di tutti. È sconcertante come riesca sempre a farla franca grazie alla sua avvenenza. Perfino molti amici intimi, Scott (Fitzgerald) compreso, si sentono a disagio in sua presenza; il fatto che siano più vecchi e affermati non ha alcuna importanza». La Wood con intelligenza inventa anche la figura di un ambiguo bibliofilo e collezionista per collegare tra loro alcuni momenti fondamentali della vita di Hemingway, come quello in cui la prima moglie perde in Svizzera una valigia con gli inediti dello scrittore e il momento finale, quello del suicidio. Forse le pagine più commoventi sono proprio quelle legate alla perdita di questa mitica valigia. Una valigia che conserva lo stesso alone di leggenda legato al bagaglio perso da un altro suicida della letteratura novecentesca, quel Walter Benjamin che a Port Bou nel '40 vede venir meno ogni speranza futura di fronte al dilagare del nazismo e si avvelena con un'overdose di morfina, e che avrebbe lasciato molti inediti incustoditi nella stazioncina al confine tra Spagna e Francia.

Ci regalano il mistero, laddove tutto il libro cerca di far cadere l'idolo dal suo piedistallo.

Perché, come ricorda l'impavida Martha, Ernest «sa fare l'eroe solo in guerra», certo non con le donne. Che chiude il cerchio dell'altra sottile definizione lasciata alla sofisticata Pauline (Fife per gli intimi): «Ernest è un amante perfetto e ciò fa di lui un marito abominevole».

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