E ra bella. Scanzonata, libera. Capricciosa. Non si è fatta mancare nulla. Mai. Compresa questa uscita di scena. Improvvisa e silenziosa. Il cancro l’ha tormentata per sedici anni e lei, più guerrigliera di prima, ha combattuto, ha resistito ma, purtroppo e infine, si è dovuta arrendere, sul principiare di un anno di cui non ha potuto nemmeno sentire il profumo.
Perché in fondo, Marina Elide Punturieri, a seguire Lante della Rovere e, poi, sempre e ancora, Ripa di Meana, si porta appresso anche il profumo di un’esistenza bizzarra, sciantosa come lei è stata, alla ricerca della vita bella, tra titoli nobiliari, duchi, marchesi, lei che si considerava furbescamente «proletaria» ma acchiappatrice di uomini, illustri tutti, attratti dal senso, dalla sua astuzia femmina e femminile, dalla cultura pure, provocante in tutto, nel dire e nel fare, donna gagliarda della grande, vera bellezza romana, figlia di una Calabria presente nel suo carattere, duro, forte, ribelle, ancora vispa, presente, vivace, nonostante il tumore stesse soffocando il suo corpo. Il corpo bello che avevamo visto e immaginato sulle copertine di giornali sconci, così le dicevano Moravia e Parise che proprio su Playmen esibivano i loro scritti, pensando di potere avere, in privato, l’esclusiva di quella carica esplosiva. Marina, dunque, icona di un mondo che è diventato ormai finto, la dolce vita di Fellini più che la grande bellezza di Sorrentino, attrice, regista, sceneggiatrice, scrittrice e stilista, sempre seduta a capotavola anche quando le capitava, raramente, di pranzare da sola.
Mai sola, appunto, circondata da affetti e interessi, disponibile e generosa, al punto da ridursi, una volta sola, alla prostituzione, in cambio di milioni cinque necessari ad acquistare una dose di cocaina per il suo amante, uno dei tanti, Franco Angeli. Ne scrisse in un libro, come gli amanti uno dei tanti, pagine di memoria, curiose e pruriginose per chi sbirciava e ancora sbircia quel mondo distante e, si dica una volta per tutte, desiderato e sognato. La vicinanza, frequentazione e amicizia, sua e del marito Carlo Ripa marchese di Meana, a Bettino Craxi (il nobile Carlo si fece comunista, passò quindi al garofano rosso e infine ai Verdi) fu materia di proteste e di polemiche, soprattutto quando il leader socialista trasportò in Cina, su un aereo di Stato, una folta e chiassosa comitiva (compresi giornalisti e affini ma non «nani e ballerine» come i moralisti del Pci strillavano su tivvù e giornali). E Marina diventò l’oggetto dello scandalo, poi irrobustito dalla presenza dei coniugi a Hammamet. Ma non fu certo per questo che la signora diventò la persona, la personalità e il personaggio, anche televisivo, onnipresente, sodale e invitata di Maurizio Costanzo e del suo show eterno, fino al punto di tirare in faccia una torta, con panna compresa, al signore con i baffi, come il piscio di artista, una boccetta di urina versata sulla camicia di Vittorio Sgarbi con successive minacce e volgarità, un’amicizia strappata, poi ricucita. O di altre storie frizzanti, memorabili quella dei giorni in cui fu nominata ambasciatrice dell’International Fund for Animal Welfare, la cui campagna pubblicitaria propose Marina come la fece madre sua, totalmente, platealmente ignuda, con pelo folto e cotonato sul pube e lo slogan: «L’unica pelliccia che non mi vergogno di indossare». Immagine di grande effetto che ribadì non soltanto il carattere pungente ma la carica erotica della femmina calabrese.
Nonostante la fotografia, sotto il vestito di Marina c’era molto, c’era la conoscenza del mondo, l’impegno animalista e ambientalista, la lotta contro gli esperimenti nucleari francesi, un grillismo anteCasaleggio natum, un modo di affrontare i temi scomodi in modo altrettanto scomodo. Di Agnelli, frequentato come altri, disse che non era affatto simpatico come il mondo sosteneva però dell’Avvocato era usa ricordare quando si presentò in camera da letto ma sorprese la signora già affiancata da Eliseo Mattiacci, lo scultore del tubo e l’altro artista e filosofo Gino de Dominicis, al che Agnelli tolse il disturbo: «Siamo già in troppi». Eppure l’amore per Carlo Ripa di Meana è stato, sicuramente, il più forte, secondo i cultori il più sensuale al punto che il marchese venne ribattezzato Orgasmo da Rotterdam, appellativo mai smentito da Marina che, con la sua voce stridula, confermò: «Inseguo i titoli», nel senso nobiliari ma anche altro.
Gelosa ai massimi, nonostante i suoi peccati diversi, quello con Roberto Gancia detto «Sgancia» che la coprì di ogni, cortigiana affermata ma nell’accezione positiva ed educata, innamorata della vita nonostante il pugnale del cancro l’avesse improvvisamente ferita, quando gli anni erano ancora quelli dei progetti, non più della fantasia e dei giochi bizzarri.
Il recente Natale ha regalato un fotogramma nel quale lei sta seduta al centro tra amici e famigliari, il volto ha smarrito il disegno brillante e indisponente, semmai è asciugato, svuotato dal maligno, il sorriso sta sulla bocca dei convitati, una smorfia, invece, sul suo incarnato, i capelli rossi sono come una corona nobiliare, le due mani propongono un timido saluto, sembrano, piuttosto, volersi aggrappare, infine, alla vita che sta per abbandonarla. Così è stato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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