da Cannes
Negli Stati Uniti degli anni Sessanta, due dodicenni a disagio e respinti dal mondo dei grandi decidono di fare banda a parte e fuggirsene insieme. Uno è un piccolo scout dotato di inventiva, sagacia e un berretto alla Davy Crockett, laltra una ragazzina che vorrebbe avere potere magici e intanto suona allinfinito sul giradischi del fratello Le Temps de lamour di Françoise Hardy, quello che racconta «il tempo degli amici e dellavventura. Quando va e viene non si pensa a niente, nemmeno alle ferite».
Con un décor alla Norman Rockwell, il celebre disegnatore che immortalò unAmerica prima della grande mutazione degli anni Settanta e Ottanta, Moonrise Kingdom di Wes Anderson ha tenuto a battesimo la 65ª edizione del Festival di Cannes. Per la prima volta sulla Croisette, Anderson è il regista di Rushmore, La famiglia Tenenbamum, Darjeeling e Il fantastico Mister Fox. Per Moonrise Kingdom ha messo su un cast hollywoodiano come pochi: Bruce Willis, Bill Murray, Edward Norton, Frances McDormand e Tilda Swinton, ma sono i due giovani protagonisti, Jared Gilman (Sam) e Kara Hayward (Suzy), a tenere insieme il tutto, infantili e insieme sorprendentemente adulti, incompresi e quindi in grado di aprirsi allavventura e ai sentimenti.
Accolto da qualche applauso durante la visione per la stampa, il film di Anderson è di quelli che continuano ad alimentare la fama di regista pretenzioso e non risolto per molti critici, surreale e geniale per altri. È il suo stile, che qualcuno ha definito da «casa di bambole», nel senso che la macchina da presa isola i luoghi e le persone come se fossero fissi, pupazzi inanimati pur se in movimento, ambienti che assomigliano a cartoline dai colori accesi.
Girato a Rhod Island in Nuova Inghilterra, Moonrise Kingdom parte da un campo scout, lì dove i grandi si vestono da piccoli e i piccoli imparano a diventare grandi (cè anche la versione, più cruda, di George Bernard Shaw: «Dei bambini vestiti da cretini comandati da un cretino vestito da bambino»); la natura è selvaggia e la vita di provincia che le scorre intorno è ritmata da rituali di coppie annoiate, figli da accudire, pochi svaghi, sesso stanco. È ancora unepoca in cui la gioventù come categoria sociale non è stata ancora scoperta e/o inventata e si pensa che il compito dei figli sia studiare e obbedire e che per risolvere i loro problemi basterà farli diventare adulti.
«Più che fare un film su due ragazzi, ho cercato di raccontare come nascano i sentimenti», dice Anderson. «Quando si è troppo giovani e ci si innamora, come si reagisce, cosa si fa? Ho cercato il più possibile di emozione e insieme di far sorridere, un mix che è un po la chiave di tutte le mie opere».
In realtà, Moonrise Kingdom manca proprio nel primo versante, e il grottesco della vita scoutistica non aiuta. Di là dalla freschezza propria delletà, nessuno dei due protagonisti ha la capacità di far vibrare nello spettatore più adulto leco di ciò che è stato, i vantaggi della giovinezza sulletà matura, la felicità delle fughe, il piacere di non avere preoccupazioni materiali, ma solo sentimentali, letà dellinnocenza quando tutto si tinge sempre e comunque dei colori dellattesa e la libertà è come un gioco delloca in cui a ogni errore si ritorna al punto di partenza. Più che la storia di due Robinson Crusoe in erba, qui ciò che emerge è un ritratto infantile dove linfelicità suscita tenerezza ma non partecipazione, e il continuo mischiare i piani da parte del regista non ci dà né una commedia né un dramma, ma un film che non sa mai decidersi su quale strada prendere.
Ben recitato, Moonrise Kingdom ha in Bruce Willis un punto di forza, un capitano di polizia non particolarmente intelligente né colto, un po rozzo e a cui la vita ha regalato poco. Sarà lui a trovare la chiave che permetterà ai due innamorati di continuare a vedersi.
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