I titoli dei film che l'hanno resa famosa? Facevano arrossire persino lei. «Uno legge cose tipo Giovannona coscialunga , disonorata con onore o Quel gran pezzo dell'Ubald a, tutta nuda e tutta calda , e cosa deve pensare? Io mi vergognavo dei titoli dei miei film. Ma non dei film». Stavolta, però, Edwige Fenech non avrà alcun motivo per arrossire. È arrivata la felicità , titolo delle dodici puntate che, prodotte da Raificton e Publispei (e interpretate da Claudio Santamaria e Claudia Pandolfi) da giovedì prossimo riporteranno sugli schermi l'ex regina delle commedie sexy anni 70, annuncia una vicenda sentimentale soft, assolutamente inequivoca. «Ma per anni mi sono rifiutata di andare al cinema a vedere i miei film. Quei titoli così orrendi li odiavo. Non uscivo di casa dalla vergogna. Li ho riscoperti alla tv, sull'onda della rivalutazione che, dal trash, li ha trasferiti al cult».
Icona dello «scollacciato» all'italiana prima, produttrice intelligente e interprete sensibile poi. Ma da anni lei aveva chiuso col mestiere d'attrice. Perché?
«Amo questo mestiere. Avrei voluto invecchiare assieme ai miei ruoli. E invece: cambiavano i titoli, i registi, le storie, ma il personaggio era sempre quello. La bella donna. Volevo dimostrare di saper fare altro, oltre che spogliarmi. E non avevo alcuna intenzione di ricominciare ad annoiarmi sul set. Finché Riccardo Milani, caro amico oltre che regista con Francesco Vicario di È arrivata la felicità , ha insistito: “questo è il ruolo per te. Devi tornare a recitare”. E ora che mi sono lasciata convincere, ammetto: aveva ragione».
Come altre produzioni Publispei, tipo Un medico in famiglia o Tutti pazzi per amore , questa nuova serie mescolerà sentimenti e temi attuali in forma di commedia. È questo che l'ha convinta?
«Questo e l'ottima sceneggiatura firmata Cotroneo, Rametta e Bises. Io sono la madre di Claudio Santamaria, insegnante in pensione sposata con Massimo Wertmuller. Una perfetta coppia radical chic: progressisti, politicamente corretti, pronti a sposare qualsiasi degna causa. E un tantino poco elastici».
Quando pensa ai suoi esordi in cose tipo Alle dame del castello piace tanto fare quello o La bella Antonia, prima monica e poi dimonia , cosa prova?
«Simpatia. E indulgenza. Mica mi hanno messo il coltello alla gola, per fare quei film. E il mio passato, io, me lo tengo tutto; col suo bene e il suo male. Certo: i titoli erano atroci. È colpa di quei titoli, se in Italia la critica inorridiva senza nemmeno vedere i film. Che invece erano spesso deliziosi. Giovannona Coscialunga , ad esempio: aveva signori attori come Vittorio Caprioli, Riccardo Garrone, Pippo Fracco; era uno splendido grottesco. Tant'è vero che in quel film il mio seno e il mio lato B non erano nemmeno miei».
In che senso?
«Mi fecero il calco del seno e del sedere per modellare delle protesi in lattice e poi applicarmele, per rendermi spropositata, ai limiti della vignetta. Lo sapeva? Sia Giovannona che Quel gran pezzo dell'Ubalda sono finiti su i Chaiers du cinéma , la prestigiosa rivista di Truffaut e Chabrol. E i miei gialli “all'italiana”, tipo Lo strano vizio della signora Ward o Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave sono il mito di Quentin Trantino».
È in omaggio a lei che Tarantino ha chiamato Fenech uno dei personaggi di Bastardi senza gloria ?
«Conosce i miei film inquadratura per inquadratura. Passa ore a farmi indovinelli: “In quale dei tuoi film avevi quel taglio di luce sul viso? In quale uscivi in quel modo da una porta?“. Io non lo ricordo, lui si».
Lei è stata popolarissima anche in tv, conducendo «Domenica In» e perfino il Festival di Sanremo.
«Il ricordo di Sanremo è pessimo. Andammo in onda che era scoppiata la guerra del Golfo, io e Andrea Occhipinti avevamo la proibizione assoluta di fare battute di spirito. Non c'erano testi, il pubblico era gelido, dovemmo improvvisare tutto. Per lo stress patito, la sera della finale, dopo aver augurato “buonanotte” ai telespettatori sono rimasta tre giorni senza voce. Domenica In , invece, fu una meraviglia. Anche lì s'improvvisava tutto. Ma faceva parte dello stile della regia di Gianni Boncompagni. E fu favoloso».
Una cosa perfino i suoi detrattori sono disposti a concederle. Lei è sempre stata una signora.
Mai l'ombra di una volgarità, neppure quando si denudava.«Forse perché lo facevo con pudore. Ero timidissima, mi vergognavo. Se penso che oggi lo fanno tutte, in qualsiasi film, non solo al cinema, e che nessuno ci fa più nemmeno caso...»
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