Attenzione ai registi con «carta bianca»

Poco tempo fa si constatava la scarsa freschezza di un vetusto allestimento di Rigoletto alla Scala (regista Gilbert Deflo, scenografo Ezio Frigerio, costumi Franca Squarciapino). Macchine indietro tutta. Dopo aver letto commenti, ascoltato interviste e visto estratti di quanto ha ideato Tatjana Gürbaca all'Opernhaus di Zurigo, Deflo sembra Visconti. A Zurigo ovvio trasloco contemporaneo: la vil razza dannata, i cortigiani, sono trasformati in attempati manager libidinosi, i quali, sempre attorno ad un tavolo, si divertono a far scoppiare preservativi come palloncini e simili passatempi. Ovviamente la regista è fiera di aver messo sotto accusa il machismo e la fallocrazia, soprattutto quella italiota. Penso a un giovane che ascolta l'opera per la prima volta (che già a Zurigo corre il rischio di perdersi nella traduzione, per seguire i sottotitoli in tedesco): cosa capirà del dramma di Rigoletto, così intimamente connesso a quella che Verdi chiamava «tinta scenica», quella che trasformò il Triboulet di Victor Hugo in personaggio di statura shakespeariana proprio fra calli e nebbie di una Mantova rinascimentale. A Zurigo come a Magonza, dove opera principalmente la Gürbaca, è andazzo comune avvicinare il pubblico all'opera con le «invenzioni» del «teatro di regia». I sovrintendenti lasciano debolmente carta bianca ai registi.

L'utilizzo ci ricorda un'altra carta bianca, quella con la quale il maggiore tedesco Kruger minacciava Totò nel Due colonnelli di Steno. «Badate, colonnello, io ho carta bianca». E Totò rispondeva: «E ci si pulisca il culo!».

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