C'è una linea immaginaria che separa chi crede nel femminismo e chi è semplicemente donna. A immaginarla, si ribaltano molti luoghi comuni. Uno di questi è che esistano cose da femmina e cose da maschio. Ma come, direte voi, non è forse questo un credo tipico del maschilista? Niente affatto: è tipico di chi crede nella logica del conflitto e di questi tipi ce n'è di genere sia femminilista che maschilista. Non lo spontaneo esercizio dell'appartenenza di genere crea mostri, ma la sua pleonastica rivendicazione. L'ultimo esempio l'ho trovato nell'email stamane: scavata in bianco in una fascetta rossa, la scritta «I libri per le lettrici Neri Pozza». A seguire, un microcatalogo di volumi «per donne» che altrimenti, come è giusto, sarebbero in libreria con il «solo» portato valoriale del proprio autore, titolo e idee o trame. La mail in questione è un caso tra tanti, troppi: da Mondadori «Libri che parlano dei mille volti delle donne. Un percorso dedicato alle nostre lettrici, sfaccettate, diverse, policrome come solo le donne sanno essere» a Feltrinelli che crea sottocategorie: «I romanzi che ti fanno felice»; «Le donne raccontate dagli uomini» (sic); «Celebriamo l'8 marzo con dei suggerimenti per le lettrici di ebook». E questo in un settore, quello editoriale, che è parte di un sistema, quello culturale, che dovrebbe essersi ripulito per primo dagli schematismi novecenteschi. E invece via col gender marketing: dal più apollineo, «Leggi e completa la tua formazione sul percorso di emancipazione», al più dionisiaco, «Questo libro tirerà fuori la femmina che è in te». Ma perché alcuni titoli - validi o meno in se stessi, questo non è in discussione - dovrebbero essere «Per le lettrici», se non come pretesto per squadernare quei «temi» che sono già in sé «spiegone», didattica brechtiana, pallosa dimostrazione invece che gustosa messa in scena? «Temi» nemmeno sessisti, ma solo stravisti e che da anni, se presentati come agenti monomandatari del valore di un romanzo, mi spingono a mollare il volume appena preso in mano come fosse veicolo di Covid-19: «Giovane, sola, sperduta, non sa se incatenarsi al passato o consegnarsi alla sorpresa»; «Rivivi il mito di Nikita per non sentirti sesso debole»; «Le donne intrattabili ma geniali mangiano l'anima prima di tutto a se stesse», o ancora «Le cattive ragazze non sono solo irresistibili, ma hanno un'anima e capiscono l'arte». E potremmo andare avanti. Due modeste proposte, a costo zero. La prima: tronchiamo con le classificazioni di genere. Esiste un razzismo estetico oltre che etico e il primo spesso è figlio del secondo: mi sento discriminata a vedermi offrire volumi «più adatti di altri alle donne». Doppiamente discriminata, poi, se sono volumi «letterari» e non «romanzetti rosa» come se le donne che leggono titoli considerati «minori» (sono tra queste) fossero «da rieducare». La seconda proposta, più «politica», più «corrotta» dalla tradizione femminista che condiziona anche me: mandatemi la stessa lista 8 marzo con il titolo «Libri per i lettori». Gli uomini hanno voglia di «scoprire» le donne, fidatevi. Sia statistico che moraleggiante.
Avere un po' più di lettori uomini non sarebbe male: che dite cari marketing manager di questa sfida? La morale invece è per le #MeToo dell'ultima ora: varrebbe la pena ricordaste che era innanzitutto il maschio che le femministe d'antan volevano rieducare.
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