Paolo Giordano
Un'altra morte. Un altro suicidio. Chester Bennington si è impiccato a 41 anni a Palos Verdes Estates in California lasciando 2 ex mogli, 6 figli è una delle band rock più famose del mondo, i Linkin Park dei quali era la voce principale. Soffriva, dicono, di depressione e ha lottato per anni contro l'alcolismo e la tossicodipendenza che sembrava aver superato. Chi l'ha incontrato poche settimane fa agli I-Days di Monza (dove il gruppo si è esibito di fronte a 80 mila persone in quello che è diventato uno dei suoi ultimi concerti), l'aveva trovato sorridente e rilassato. Ma, come tanti, covava un disagio così profondo da poter rimanere nascosto dentro l'anima. A scatenare la decisione senza dubbio è stato un altro suicidio recente, quello di Chris Cornell dei Soundgarden che ieri avrebbe compiuto 53 anni e a cui Bennington era legatissimo. Gli scrisse, appena saputo del suicidio, una lettera commovente: «Mi hai ispirato in modi che nemmeno puoi immaginare». Forse gli ha ispirato anche la decisione di farla finita nonostante vivesse una vita di successi.
Dopotutto i Linkin Park sono il gruppo nu metal più famoso del mondo grazie anche a un album, Hybryd theory del 2000, che ha venduto oltre 27 milioni di copie diventando una pietra miliare in questo genere musicale. E anche la voce di Bennington, così acuta così potente, si era trasformata in un brand, in un marchio riconoscibile ovunque e di conseguenza amato fin quasi al delirio dai suoi fan. Eppure. What I've done recita il titolo di un famosissimo singolo del 2007. Che cosa ho fatto? Questo è un altro mistero del rock, un'altra zona d'ombra sulla quale si discuterà e si scriverà per tanti anni a venire. Reduce dalla sbornia metal di inizio anni Novanta, Chester Bennington, che era nato a Phoenix in Arizona nel 1976, si era fatto le ossa con alcune band prima di diventare il messaggero di un nuovo genere musicale, il nu metal appunto, che mescola le radici dell'heavy metal con la tecnologia e le metriche del rap. Una autentica sberla al sistema musicale in quel momento irrigidito sugli stereotipi fissati da Eminem e Tupac.
Ed è per questo che i Linkin Park hanno raggiunto un successo epocale: erano il simbolo di liberazione di una generazione (soprattutto americana) che non aveva troppa voglia di scendere a patti con il rap. Insomma, una storia di enorme successo che però non ha curato l'unico aspetto davvero incurabile: la voglia di autodistruggersi, di mettersi tra parentesi nonostante il successo. Che cosa hai fatto, Chester.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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