Busseto celebra Bergonzi, campione verdiano

«Sono un autodidatta che studia oggi come ieri, senza aver smesso mai. So di essere al servizio dell'autore, di Verdi soprattutto. Ci nutriamo di lui come del pane. Verdi detestava il mestiere e venerava l'arte Oggi morirebbe di rabbia!» Parole schiette, semplici e vere, quelle pronunciate dal gran tenore Carlo Bergonzi (1924-2014) nel 1990 (oggi raccolte nel prezioso volume di Caudio Capitini, E lucean le stelle, ed. Gabrielli). Sono specchio di un artista che poteva nascere soltanto fra la gente genuina, proba e laboriosa di quel Mondo Piccolo (nacque a Vidalenzo di Polesine, a pochi chilometri da Busseto) che è la Bassa parmense. Di grandi tenori verdiani ce ne sono stati tanti (quando debuttò nel '51:«eravamo duecento tenori e tutti validi»), ma la sanità del canto, la rotondità del fraseggio, la cura delle dinamiche e della dizione, i fiati leggendari, hanno fatto di Carlo Bergonzi un modello verdiano difficilmente uguagliabile. Ed era amato e ammirato anche dai colleghi tenori, Del Monaco e Pavarotti per primi. Sabato prossimo il paese di Verdi, Busseto, gli dedica una piazza (e un concerto con la partecipazione di Aprile Millo, con cui cantò non dimenticati Lombardi verdiani a New York).

Piazza Bergonzi trova spazio accanto a quella che reca il nome del compositore che tanto ha amato e «servito» e davanti all'albergo che aprì nel 1965 con nome verdianissimo, I Due Foscari - oggi condotto dal figlio Marco. Addio sante memorie? No: benvenuta memoria di un artista meraviglioso, che ha cantato «quando il canto era canto e l'arte era arte».

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