Calvagna, un regista che sa creare gioiellini

di e con Stefano Calvagna con Daniele Lelli, Raffaele Sola, Claudio Vanni, Andrea Autullo

Baby Gang, di Stefano Calvagna, è un piccolo miracolo cinematografico. A partire dalla sua peculiarità. Ispirandosi, come afferma lui, a Pasolini, il regista si è affidato, con coraggio, a dei veri e propri ragazzi di strada, al fine di rendere ancora più reale il suo racconto di una Roma nera dove, è il messaggio di fondo del film, il crimine non paga, ma si paga. Non solo. Questi attori improvvisati, non avevano nemmeno un copione dove poter imparare le battute. Recitavano a canovaccio, basandosi esclusivamente su una storyline descritta loro, giorno dopo giorno, dallo stesso Calvagna. Immaginate, dunque, la difficoltà di realizzazione di una simile pellicola, che presentava molti rischi e poche certezze. Invece, fin dalle scene iniziali, si viene catturati dalle vicende dei cinque baby criminali protagonisti, che reciteranno sì a soggetto, ma facendolo maledettamente bene. Calvagna è un regista atipico e non solo per non essersi allineato al pensiero comune dominante di sinistra che contraddistingue il cinema italiano. Lui è capace, ogni volta, con pochi mezzi, di tirar fuori dei piccoli gioiellini, pur imperfetti, ma, proprio per questo, ancora di più da amare. Cinque ragazzi di strada riuniti in una gang che ha un unico scopo: far soldi, tanti e subito. E quindi, li vediamo alle prese con la droga, le rapine, la prostituzione (affidano delle loro coetanee sedicenni a un pappone che, in realtà, li raggira sul prezzo commissionato), le carte di credito clonate. E la violenza, tanta, scaturita, magari, da uno sguardo di troppo in discoteca o dal tifare una squadra che non è la tua. Fai uno sgarbo? Ti accoltello se ti va bene o ti sparo nelle gambe. Considerando che l'intento di Calvagna era quello di girare una sorta di docufilm, ispirandosi a fatti reali relativi alla criminalità giovanile e alla prostituzione minorile, c'è da rabbrividire. E il merito va proprio ai giovani protagonisti capaci di trasmettere magnificamente il messaggio di fondo.

Il tutto impreziosito dalla presenza di «calvagnani» affermati come David Capoccetti, Claudio Vanni (ripetiamo, sempre troppo poco valorizzato dall'industria italiana), Andrea Autullo. E qualcuno riconoscerà anche Veronica Graf del Grande Fratello 13. Chapeau a Calvagna.

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