Il concerto di Capodanno con l'orchestra dei Wiener Philharmoniker è l'evento di classica più seguito che vi sia. Trasmesso in 93 Paesi, con 50 milioni di spettatori tv. Memorabile l'edizione del 2000. Al cambio di millennio, la platea raddoppiò, in Italia si toccarono punte d'ascolto né prima né poi raggiunte: 6,5 milioni di spettatori, share del 40,1%. Sul podio c'era Riccardo Muti, direttore che con i Wiener detiene un altro record imbattuto: li dirige ininterrottamente da 48 anni. Sarà lui a condurre il Concerto di Capodanno del 2018: il suo quinto.
Come ci si sente quando si sale su quel podio, per quella occasione?
«Quando sei lì, è difficile dimenticare che sei seguito da milioni di persone. L'orchestra è esposta a un pubblico immenso, il minimo errore non rimane circoscritto alla platea della sala. Il programma, poi, non è semplice come si crede. I valzer spesso sono virtuosistici, i corni molto esposti...».
Poi siamo all'indomani di una notte di festeggiamenti.
«Un concerto faticoso anche per questo. Devi andare a letto presto, studiare pezzi nuovi. Ora voglio fare Capodanno in famiglia, ma negli ultimi tempi l'insistenza è stata tale che ho accettato. Credo, comunque, che sarà l'ultimo».
Anche perché la vediamo sempre più Maestro. Ora raddoppia: dal 2019 i suoi corsi di formazione per direttori si terranno sia a Ravenna sia a Tokyo. Cosa la spinge a dedicare un mese intero all'insegnamento?
«Voglio trasmettere quello che ho imparato dai miei maestri, con loro ho imparato i segreti del mestiere e avuto insegnamenti, anche di vita, che non apprendi dai famigerati libri di direzione d'orchestra. A questo si aggiunge mezzo secolo di attività con artisti e orchestre superlative. Un bagaglio che voglio lasciare ai ragazzi».
Perché concentrarsi sull'opera italiana, e non sinfonica per dire?
«Girando il mondo ho visto quanto viene bistrattata. Ai ragazzi spiego che bisogna sedersi al pianoforte, avere attorno a sé la compagnia di canto, lavorare sulla vocalità e costruire il personaggio. Oggi si lascia la gestione del palcoscenico al regista».
E i cantanti cosa dicono?
«Si lamentano. Le prove musicali si riducono a un canti più forte, lì più piano, rallenti. Quando feci Otello alla Scala, Placido Domingo rimase a Milano 25 giorni continui, ristudiò il ruolo dopo 250 Otello già fatti. Da musicista curioso e intelligente qual è, voleva affrontare una nuova lettura».
E i ragazzi dell'Orchestra Cherubini?
«Mi stanno dando tante soddisfazioni. Da noi sono usciti l'attuale primo flauto della Staatsoper di Monaco, un violoncellista della Philharmonia di Londra, un trombettista ha appena vinto il concorso alla Scala. Ne cito solo alcuni».
Anche i direttori dell'Opera Academy si stanno affermando.
«Proprio in questi giorni ex allievi hanno vinto due concorsi di direzione d'orchestra: Hossein Pishkar e Su-Han Yang».
Su cosa insiste con i giovani?
«Su come si sta in orchestra, cosa significa dialogare musicalmente con altri musicisti. E poi sulla disciplina artistica: che può mancare nelle orchestre, e non solo italiane».
Settimane fa ha incontrato il Ministro Franceschini. Che cosa le ha promesso?
«Passava da Ravenna, è stato un incontro fra amici, non di lavoro. Quindi nessuna promessa. Sa che tanto del mio lavoro è dedicato ai giovani. Premesso che nessuno è perfetto, mi sembra stia facendo molto bene. Tempo fa, riuscimmo a salvare una situazione molto precaria».
L'anno prossimo festeggia i 50 anni dal debutto. Fu alla testa dell'Orchestra del Maggio di Firenze.
«Infatti farò un'eccezione dirigendo un'opera, Macbeth (sempre nel 2018, anche Così fan tutte a Napoli - ndr). A Firenze devo tutto. E tutto partì con un concerto con Richter che accettò di lavorare con il giovane vincitore del Concorso Cantelli, cioè io, ma solo dopo avermi messo alla prova».
Cosa le chiese?
«Di andare a Siena e suonare con lui. Entrai nel salone, c'erano due pianoforti. Io suonai la parte orchestrale, lui quella del solista. Non una parola per l'intera esecuzione. Alla fine disse: Se dirige come suona, è un buon direttore. E accettò. L'orchestra mi invitò dopo tre mesi, quindi mi chiese di rimanere. A Firenze ho fatto nascere anche i miei tre figli».
Fra i tre, chi è il più napoletano?
«Lo stampo meridionale c'è in tutti e tre, anche se uno è un po' meno scuro di capelli: è l'impronta normanna».
È con la Chicago Symphony Orchestra dal 2010.
«C'è un rapporto meraviglioso, mi stanno dando grandissime soddisfazioni».
Una macchina da
guerra.«Ma aggiungo: con anima. L'altro giorno abbiamo suonato un Preludio Sinfonico di Puccini. Non storcono il naso di fronte ad opere giovanili dei nostri compositori, si aprono al nuovo con innocenza e umiltà».
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