Cattaneo, il federalismo che (non) passa di moda

Svizzera e Usa come modelli, repubblicanesimo liberale, proprietà condivisa. Le sue idee «difficili»

Cattaneo, il federalismo che (non) passa di moda

È significativo che anche quest'ultimo anniversario legato al nome di Carlo Cattaneo - che morì 150 anni fa, a Lugano, in un esilio volontario - sia destinato a passare sotto silenzio. L'Italia non ha mai gradito l'intellettuale lombardo, e non soltanto perché è nata monarchica e non repubblicana. In fondo, Giuseppe Mazzini è stato facilmente adottato dalla nuova Italia e, anzi, è stato subito inserito nel Pantheon dei padri fondatori. Un analogo destino non è toccato invece a Cattaneo, che ancora oggi rimane scomodo da vari punti di vista.

Trent'anni fa ci fu un momento in cui sembrò che egli potesse diventare un punto di riferimento nel dibattito politico. Quando, intorno alla metà degli anni Ottanta, le «leghe regionali del Nord», perché allora erano chiamate così, iniziarono a raccogliere consensi, la più agguerrita e capace di attrarre voti (quella lombarda) scelse d'individuare nel fondatore del Politecnico il proprio riferimento ideologico. Sotto vari punti di vista, la scelta era azzeccata.

Cattaneo era stata una delle figure cruciali dell'età risorgimentale, dato che nel marzo del 1848 era stato presidente del Consiglio di Guerra durante le Cinque Giornate di Milano. Non soltanto, però, avversava ogni soluzione monarchica, ma immaginava anche un'Italia federale in cui ogni comunità potesse governarsi da sé, e per di più riteneva assai arretrato il Regno di Sardegna retto da Casa Savoia. Per questo motivo Umberto Bossi provò a utilizzare il repubblicanesimo democratico del filosofo lombardo allo scopo di dare un profilo alto al suo disegno. La Lega lombarda voleva mettere in discussione l'assetto giacobino della Costituzione del 1947 (si pensi all'articolo 5, dove si parla dell'Italia come «una e indivisibile») e grazie a questo padre nobile il progetto poteva essere letto in continuità con una parte significativa della tradizione italiana.

Nei decenni precedenti avevano prestato una qualche attenzione a Cattaneo studiosi di varia estrazione: prevalentemente di scuola democratica e progressista. Un testo su Cattaneo, ad esempio, si deve a un anarchico di valore come Camillo Berneri, che sarà ucciso dai comunisti nel 1937 a Barcellona e che, un anno prima di morire, proprio al pensatore lombardo aveva dedicato pagine interessanti. Ma a Cattaneo hanno guardato pure Gaetano Salvemini, Piero Gobetti, Norberto Bobbio e - la cosa non può sorprendere - lo stesso Gianfranco Miglio.

Cattaneo attraeva soprattutto per la sua teoria federale, che lo porterà a vedere negli Stati Uniti e nella Svizzera due modelli istituzionali esemplari. Ed è certo vero che egli unisce il repubblicanesimo democratico a una visione liberale della società e dell'economia, che esalta l'apertura delle frontiere e la concorrenza. Per questo oggi Cattaneo si trova ai margini del dibattito, così che questa ricorrenza non suscita entusiasmi neppure nella sua Lombardia.

Che cos'è cambiato, da quegli anni Ottanta? Il primo dato da rilevare è che il federalismo non è più all'ordine del giorno. Al massimo, si parla talvolta di concedere forme di limitata autonomia ad alcune regioni un po' irrequiete: sempre però a condizione che non venga meno quella redistribuzione assistenzialista delle risorse che, con un vero federalismo, ha poco a che fare.

Oltre a ciò, Cattaneo è tornato a essere «fuori moda» perché, quando trionfano i populismi, è più agevole ipotizzare una ripresa della retorica di Mazzini che una valorizzazione delle pagine assai terse scritte dal fondatore del Politecnico, ed è più facile vedere frotte di post-marxisti esaltare la Patria e l'Interesse Nazionale che non comprendere le buone ragioni delle analisi di Cattaneo. La stessa unificazione ottocentesca promossa dal Romanticismo politico in Germania e in Italia muoveva da una sacralizzazione del politico che nulla ha a che fare con Cattaneo.

Egli era autenticamente refrattario alle mitologie collettive, così come lo sarà Vilfredo Pareto. E quindi non soltanto Cattaneo non collegherà Trono e Altare, ma rifiuterà anche ogni riproposizione popolare della religione civile e dell'ideologia della sovranità. Nazionalismo e statalismo non sono in alcun modo conciliabili con la sua filosofia politica. Per lui, soprattutto, un ordine di libertà esigeva che la proprietà fosse rispettata. Ed è interessante rilevare come questo l'abbia portato a pensare in modo originale proprio il rapporto tra l'individuo, la proprietà e la dimensione comunitaria. Al punto che quando nel 1977 lo storico del diritto Paolo Grossi pubblicò un volume sulle proprietà condivise, nel titolo egli abbia citato una formula dello studioso milanese («un altro modo di possedere»). Chiamato a esaminare la forma giuridica di alcuni usi civici del Ticino, nella piana di Magadino, Cattaneo aveva infatti mostrato grande interesse per questa istituzione.

Egli aveva

chiaro, in effetti, che ogni ordine istituzionale che localizza il potere e riconosce la proprietà in ogni sua forma finisce per favorire la migliore tutela della libertà. Anche per questo, di lui, oggi si parla così poco.

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