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"La Corrida è poco social ma molto sociale, Sanremo? Può essere..."

Il presentatore al timone dello show di Rai1: "Amadeus all'Ariston sarebbe perfetto"

"La Corrida è poco social ma molto sociale, Sanremo? Può essere..."

Forse il sorriso inatteso (a volte l'incontenibile risata) con cui, a bordo palco, segue le più scombinate fra le scombinatissime esibizioni della sua Corrida, spiega perché Carlo Conti non è mai stato, e non sarà mai, «un dilettante allo sbaraglio». Mentre il primo e storico «talent» televisivo torna (da domani per otto venerdì su Raiuno, dopo il successo della passata edizione, la prima da lui firmata) il conduttore si conferma oculato e modesto amministratore di una popolarità enorme. Ma vissuta sempre con i piedi per terra.

Oggi il dilettantismo allo sbaraglio si chiama Italia's Got Talent o Tu si que vales. Come fa un format vecchio di cinquantuno anni a funzionare ancora?

«Ma la Corrida è un no-talent. Non c'è gara, né classifica né lotta. Non c'è smania di protagonismo o sete di rivincita. Solo il piacere di buttarsi, e farsi vedere in tv da amici e parenti. E poi le cose semplici sono senza tempo. La Corrida possiede due cose semplici che esistono da sempre, e che, finché esisteranno, sempre funzioneranno. Leggerezza e goliardia. La leggerezza con cui i concorrenti tentano le imprese più assurde con la faccia più tosta. E la goliardia con cui il pubblico, impietoso ma non cattivo, li applaude o li sbeffeggia. Più applausi che fischi, per la verità. Perché la genuinità fa comunque simpatia».

E del giudizio dei più snob, che definiscono la Corrida una "sagra da strapaese", che ne dice?

«Mi va benissimo, come definizione. Lo spirito della Corrida è proprio questo. La nostra provincia è fatta di paesi meravigliosi, in cui si vive una dimensione ancora umana. Meno social. Ma molto più sociale».

Carlo Conti, nella sua ormai quarantennale carriera, s'è mai sentito un "dilettante allo sbaraglio"?

«No. Perché non ho mai inseguito i programmi. Ho sempre lasciato che arrivassero da sé. E ogni volta che li ho accettati era perché mi sentivo assolutamente pronto a farli. Mai stato divorato dall'ansia del successo; mai ambito a diventare il più importante. Speravo solo di trasformare i miei sogni nel mio lavoro: mi sarebbe bastato questo. E ci sono riuscito. Tutto il resto è venuto di conseguenza».

Eppure «il più importante» è appunto quel che lei è diventato. Come ci è arrivato?

«Con molto lavoro. Con un'ascesa paziente, gradino dopo gradino. E un pizzico di fortuna. Ma non puoi programmare di diventare il più importante. E se ti capita è un dono del Cielo».

A proposito di presentatori importanti... Amadeus si sta trasformando in un pericoloso rivale.

«Rido se penso che c'è voluto il trionfo di Ora o mai più perché tutti capissero che Ama è un numero uno. Io lo sapevo da tempo».

Si parla di un suo debutto a Sanremo (magari con Carlo Conti solo in veste di solo direttore artistico)

«A Sanremo Ama lo vedrei benissimo. Sarebbe perfetto. Ha la competenza, le capacità. In fondo siamo molto simili, io e lui: stessa formazione musicale, stesso ritmo radiofonico, stessa generazione. Quanto a me è prematuro parlarne. Quello del direttore artistico è un ruolo molto importante: deve mettere d'accordo tutte le parti. Io, come sempre, sono al servizio dell'azienda».

Dopo La Corrida ci saranno i Wind Music Awards da Verona, Nel nome di Francesco da Assisi, e mille altri progetti. Quando Baudo dominava con tre programmi in contemporanea era accusato di «mandarinato». Oggi è lei a dominare. Ma nessuno l'ha mai criticata. Come se lo spiega?

«Erano altri tempi, si ragionava in modo diverso. E poi Pippo ha un altro carattere rispetto al mio, tende maggiormente al protagonismo. Ci tiene a far sapere, ad esempio, di essere un eccellente talent-scout. E ha ragione, a vantarsene. Chissà: forse io appaio meno protagonista».

Dopo aver fatto praticamente tutto in tv, potrebbe venirle (come venne a Fabrizio Frizzi, ad esempio) il desiderio di allargare le sue competenze? Diventando attore, magari?

«Fatico già tanto a fare benino il mio, figurarsi fare altro.

Recitare? Si: finché si tratta di spalleggiare i miei amici Pieraccioni e Panariello, me la cavo... Ma le poche volte che sono apparso in qualche film, erano dei cameo in cui facevo solo me stesso. Non saprei interpretare qualcuno di diverso da Carlo Conti».

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