Quando si parla (e si scrive, dunque si legge) di storia d'Italia, a volte ci si rende conto di un fatto tragicomico. E cioè che non soltanto il bicchiere è mezzo vuoto, non soltanto lo Stato c'è ma è assente la Nazione, ma anche (e soprattutto, accidenti a noi), che manca persino il bicchiere. Qualcuno se l'è fregato, oppure l'ha fatto cadere a terra mandandolo in mille pezzi. Manca, in sostanza, il puro e semplice concetto di Italia.
Lasciamo pur che riposi nei polverosi manuali scolastici il celebre assunto del cancelliere Klemens von Metternich, secondo il quale «La parola Italia non è altro che un'espressione geografica», giudizio sferzante e sprezzante che un altro cancelliere dei nostri giorni, dotato(a) di gonna e caschetto, probabilmente sottoscriverebbe, e limitiamoci agli ultimi 70 anni. Dal 1943 a oggi in Italia abbiamo avuto di tutto, tranne che... l'Italia. Dalla fuga del re ai governanti eterodiretti, passando attraverso una guerra civile (o forse due, anche se la seconda non è mai stata dichiarata), un federalismo di facciata e una presa della Bastiglia per via giudiziaria, il nostro Paese è sempre stato, di fatto, il Paese di qualcun altro.
In Una repubblica senza patria (Mondadori, pagg. 292, euro 19, da martedì nelle librerie) Gennaro Sangiuliano e Vittorio Feltri raccontano Storie d'Italia dal 1943 a oggi. E confermano, scavando nel «dietro le quinte» degli anni e delle coscienze, spesso sporche, dei protagonisti la frammentazione, la polverizzazione della Nazione, prima ancora che della Patria.
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