Cultura e Spettacoli

"Dilettanti allo sbaraglio, con tanta autoironia L'Italia è una Corrida"

Da domani, su Raiuno, torna lo storico show di Corrado. "Sarà proprio come l'originale"

"Dilettanti allo sbaraglio, con tanta autoironia L'Italia è una Corrida"

Il ritorno de La corrida? «Il recupero di una tv semplice, sana, dove conta solo divertirsi e divertire. E un ritorno a casa». Già: perché da domani, per sei sere su Raiuno, il classico televisivo ideato nel 1968 per la radio da Corrado, ripreso in tv dallo stesso negli anni 80 a Mediaset, quindi da Gerry Scotti e Flavio Insinna, cinquant'anni dopo ritorna in Rai. E chi altri, se non il Gran Cerimoniere della Memoria Tv (già celebrata da I migliori anni, Tale e Quale e Ieri e Oggi) poteva propiziare questo trionfo della nostalgia, se non Carlo Conti?

Sarà la stessa Corrida di sempre?

«Esattamente la stessa. Con i concorrenti bizzarri, il pubblico impietoso, le esibizioni bislacche. Cambiarla, modernizzarla, mettendoci magari dei giudici come fosse un talent qualunque, significherebbe snaturarla. La Corrida è stato uno degli spettacoli Rai che da bambino amavo di più. Avevo 7 anni, e davanti alla radio m'inorgogliva sentire che, oltre che da Roma, lo trasmettevano anche da Firenze».

Ma perché rifarla, dopo una stagione gloriosa come quella firmata da Corrado, l'ottimo successo di Scotti, e le difficoltà che, invece, afflissero l'edizione Insinna?

«Per tornare a divertirsi e a divertire. Semplicemente. Per me sarà un disintossicante ritorno alle origini: a quando facevo le feste di piazza, con le stesse formule cordiali, familiari, a contatto con lo stesso tipo di persone semplici. E sarà anche di tutto riposo: questo show non prevede prove. Si va in scena e basta».

Tuttavia, nel frattempo, l'Italia è cambiata. E il pubblico pure. Da ingenuo spettatore passivo a sempre più malizioso protagonista. Oggi c'è Italia's got Talent.

«Ma i nostri restano sempre rigorosamente dilettanti allo sbaraglio. Non hanno cioè velleità professionali: solo voglia di divertirsi. Poi a Italia's Got Talent c'è il talento. Da noi solo talento presunto. Per quelli troppo bravi, da noi, non c'è posto. Senza contare che si tratta spesso di personaggi talmente curiosi che non capisci mai se sono loro a prendersi gioco di te, o tu che t'illudi di prendere in giro loro».

Ai provini si sono presentati in 5000, voi ne avete selezionati 90. Che tipo di Italia ne viene fuori?

«La più semplice, la più genuina. Più uomini che donne; molte persone d'età ma anche un buon numero di ragazzi. Soprattutto cantanti (l'Italia è la patria, dei cantanti), ma anche ballerini, imitatori (una sfilza di sosia di Celentano), qualche poeta. Comici? Pochissimi. Ma comici lo sono tutti, in fondo».

A proposito di prendere in giro: gran parte dello spettacolo della Corrida erano le espressioni, fra lo scettico e lo sbalordito, con cui, a bordo campo, Corrado seguiva le improbabili performances.

«E quelle espressioni restano ineguagliabili. Le mie controscene saranno solo mie. Diciamo che dopo l'ironia romana di Corrado e di Insinna, dopo quella lombarda di Gerry Scotti, la Corrida viaggerà sulla mia, che è fiorentina e dunque, forse, più scanzonata. Ma sempre nel rispetto assoluto del concorrente. Un'altra caratteristica, questa, dei miei predecessori».

Lei cosa ha amato di più, in un personaggio amatissimo come Corrado?

«L'eleganza. E l'umorismo, mascherato da apparente distacco. Personalmente lo incontrai nel 92, quando vinsi un Telegatto per Big. C'erano lui, Mike, Pippo. Andai tutto emozionato a presentarmi: Io sono quello della tv dei ragazzi, e lui, rispondendo bonario Lo so, lo so, quasi mi fece sentire uno di loro».

Non la preoccupano nemmeno gli ascolti?

«A parte il fatto che l'ansia da prestazione non l'ho mai sofferta, ma con gli anni e con tutto quello che ci succede attorno, lo share mi preoccupa sempre meno. Voglio godermi il mio mestiere senza patemi d'animo. Incoscienza? Forse. Ma sana: sono riuscito a fare tre festival di Sanremo senza passare neppure una notte insonne».

Frizzi come un'ombra aleggia sul ritorno di questo classico (slittato di una settimana) e sul suo ritorno all'Eredità.

«Tornare all'Eredità dopo la scomparsa di Fabrizio, è stato uno dei momenti più difficili di tutta la mia carriera. Non ricordo neppure cosa ho detto, cosa ho fatto, quella sera, tanto ero nel pallone. Ho messo il pilota automatico, e sono andato avanti per forza d'inerzia.

Ma avrei preferito essere ovunque perfino al Polo Nord, io che solo freddoloso da morire - piuttosto che lì».

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