Ennio Morricone si racconta "Con le colonne sonore facciamo grande il nostro Paese"

Il premio Oscar è un nostro simbolo nel mondo: "Grazie a noi, la musica ora e cruciale nei film"

Ennio Morricone si racconta "Con le colonne sonore facciamo grande il nostro Paese"

Prima con una e poi con l’altra e l’altra ancora, Ennio Morricone è diventato il signore delle colonne sonore. Più di cinquecento, a occhio e croce. E alcune, come Il buono il brutto il cattivo, Mission o Metti una sera a cena, sono il passaporto dell’Italia più riconosciuto nel mondo, altro che pop o moda. Chiunque le ha ascoltate almeno una volta. E lasciate perdere Quentin Tarantino, un mago del riciclaggio di musica italiana: ormai a tutti viene facile ricollegare il ballo di Noodle con Deborah in C’era una volta in America (di Sergio Leone, of course) a quelle note di una intensità disperata e romantica come raramente capita di ascoltare. O il fischio di Alessandro Alessandroni in Per un pugno di dollari. Il western è quella roba lì, dopotutto. Ennio Morricone, premio Oscar. 83 anni annebbiati solo dal fuso orario (è appena tornato da due concerti in Australia). Matematico quando parla. Poetico, persino filosofico quando compone. E allora, nel giorno in cui, grazie a Sugar, riaffiora sul mercato il favoloso catalogo C.A.M. (3000 colonne sonore, tante dimenticate, molte rarissime), lui sì che è la persona giusta. Per ricordare. E fare il punto della situazione su uno dei patrimoni più sottovalutati della nostra cultura: la musica per le immagini, e anche per l’immaginazione, se ci pensate bene.

In effetti, Morricone, in mezzo secolo la musica è cambiata.
«Senz’altro. Ma si è anche evoluto il modo di considerarla all’interno di ciascun film».

Ossia?
«Oggi i registi e i produttori hanno finalmente compreso quanto è importante che si senta bene all’interno di ciascun film. Per decenni è stata mescolata ad altri effetti sonori, quasi comprimaria».

Dice che le colonne sonore sono state sottovalute?
«Spesso sono state molto condizionate dal regista. Forse troppo».

Addirittura.
«Ma tutto dipende alla fine dal compositore: se è passivo, subisce. Altrimenti si ribella. In effetti il film e il regista sono una sorta di condizionamento».

Lei quanto è stato condizionato?
«A me è andata bene. Mai avuto grandi contrasti con i registi».

Pasolini? Avete collaborato per Teorema del 1968.
«Lui meno che gli altri. Mi disse: faccia quello che vuole».

Allora Sergio Leone.
«Con lui davvero ho fatto quello che volevo. Io componevo. E lui, quando ascoltava, diceva sì, sì, va bene».

La sua colonna sonora più complicata?
«Forse quella della Battaglia di Algeri».

1966. Regista Gillo Pontecorvo. Leone d’Oro a Venezia.
«Per contratto, lui era coautore delle musiche del film. Ma non sapeva suonare né scrivere sullo spartito. Sapeva solo fischiettare. Non eravamo mai d’accordo. Mi portava le immagini, io componevo. Ma niente. A volte impiegavamo anche 15 giorni di discussioni per una sola sequenza».

Se lei non fosse stato diplomatico, forse non avrebbe venduto cinquanta milioni di dischi.
«Cinquanta? Ma è una cifra aggiornata a trent’anni fa. Saranno passati quarant’anni da quando feci una festa per averne venduti venti milioni. Adesso saranno molti di più, se non altro perché ho composto tante altre colonne sonore».

Qualcuna è diventata anche la sigla di inizio di concerti rock. Come per i Metallica, che da trent’anni iniziano a suonare dopo Ecstasy of gold (da Il bello il brutto il cattivo)
«Li conosco bene. Ma occhio: la musica spesso non ha niente a che fare con la melodia».

La prossima colonna sonora?
«Per La migliore offerta di Giuseppe Tornatore».

Morricone è il simbolo di una grande squadra di compositori. Piero Umiliani?
«Non abbiamo avuto nessun rapporto».

Nino Rota?
«Siamo diventati amici solo verso la fine della sua esistenza».

Piero Piccioni.
«Non abbiamo mai lavorato insieme ma eravamo molto, molto amici».

E Nicola Piovani?
«Siamo amici. Anzi di più: ho grande stima per lui».

Ma ci sono colonne sonore che lei ha ascoltato e ha avuto il rimpianto di non aver composto?
«Spesso quelle che non mi piacciono. E mi succede mentre ascolto la musica in tv».

E invece Quentin Tarantino?
«Ha usato alcuni miei temi. Li ha scelti. E la sua scelta si sposava bene al suo film. Ma non c’è coerenza con quello che avevo composto io».

Alla fine è

anche quella una dimostrazione che le colonne sonore italiane fanno onore all’Italia.
«Basta solo calcolare l’ammontare dei diritti d’autore. Ma c’è di più: questa musica ci ha reso riconoscibili dappertutto».

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