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Epicoco, quando la pittura è lotta all'emarginazione

A Roma in mostra l'arte figurativa e ritrattistica dell'artista

Epicoco, quando la pittura è lotta all'emarginazione

Cosimo Epicoco è un pugliese contaminato, come tutti quelli che in terra pugliese hanno davvero vissuto: radici salentine e poi tarantine, terra e acciaio, taranta e ciminiere. A Roma vive sulla frontiera della lotta al disagio e all'emarginazione. La sua arte, figurativa, forte, di mano sapiente e grande capacità ritrattistica, emerge nell'ultima personale, Redpages – a Roma, nella splendida cornice della caffetteria del Chiostro del Bramante, a cura di Ivana D'Agostino.
Ritratti di donne ad altissimo valore simbolico e, sullo sfondo, il colore rosso a intendere il sangue, ciò che rende uguali e rende possibile la vita, ma anche il rosso di una sofferenza che nei volti messi su tela da Epicoco emerge con grande forza espressiva. Si dovesse scegliere un'immagine per una campagna contro il femminicidio, si potrebbe pescare in questi quadri, dove la tradizione lambisce i confini della contemporaneità più viva. Il trittico delle «donne di San Paolo» –Epicoco è di Galatina, culla del tarantolismo e meta di viaggio del santo che risaliva da Oriente -, poiché un monumento al silenzio e al mutismo ancestrale della donna meridionale, ridotta a sostituire il pensiero con la religione poiché, ripete Epicoco, al Sud per secoli «la parola è stata maschile» e la donna-femmina, soggetto fuori fuoco e muto, sessualmente repressa, è stata la sacerdotessa triste di eros e thanatos tra le pietre di una terra di pietre dure e colori sgargianti.

Il salto dalle donne tarantate a un ritratto di suburbi metropolitani arriva con i due Pearcing, e qui Epicoco non fa sconti, con il suo pennello, a una moda e a un modo di usare il corpo, il viso femminile in particolare, che vuole esprimere dissonanza ma a un meridionale ricorda anche il giogo animale, la lingua sfregiata e attravresata dalle catene. La sequenza dei quadri, e l'onnipresente rosso che fa da sfondo immutabile alla sorpresa di ritratti meticolosamente riprodotti, alla fine è un viaggio nel dolore della condizione femminile, nella morte del pudore e in quello che Epicoco definisce «disumanizzazione», presagendo il rischio, come dice lui, che alla «società liquida» succeda la «società gassosa», la fine delle relazioni sociali.

A meno di credere al filo di speranza della sua ultima tela, una bocca socchiusa e il suo titolo: «Spiraglio».

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