Non è la prima volta che Annalisa Terranova si occupa della destra italiana con un partecipazione emotiva mista a consapevolezza critica di chi ha vissuto da vicino alcune di quelle esperienze. Nel suo nuovo libro, L'altro Msi. I leader mancati per una destra differente (ed. Giubilei Regnani, pagg. 180, euro 15), affila l'analisi su personaggi ignoti al grande pubblico le cui tesi - per tutta una serie di fattori nazionali e internazionali - non poterono mai tradursi in azione politica. Tesi che trovarono una valvola di sfogo in congressi dove non raramente ceffoni e proposte programmatiche viaggiavano di pari passo. Ma questo era l'aspetto esteriore di un piccolo partito nel cui ventre si agitavano individualità del calibro di Pino Romualdi e Ernesto Massi, Pino Rauti ed Ernesto De Marzio, Marco Tarchi, Beppe Niccolai e Domenico Mennitti. Leader mancati perché l'Msi nacque con due zavorre che rappresentarono anche il suo riparo: il nostalgismo e la Guerra Fredda. Binomio che non consentì percorsi alternativi o strategie ardite. L'avventura manichea che nel dopoguerra attraversò l'intero Occidente non prevedeva diversioni di alcun tipo: si era da una parte o dall'altra; nel Patto atlantico o filorussi. I posizionamenti interni ai partiti potevano pure presentarsi variegati; e infatti nell'Msi vi fu questo caleidoscopio culturale che non raramente portò a espulsioni, allontanamenti ed esperimenti di varia natura ma, in linea di massima, la strategia era fissa. E questa sclerotizzazione figlia della geopolitica fu caratteristica di tutti i partiti.Mantenere la barra ben salda in una comunità tanto passionale come quella della destra fu compito immane in cui poteva cimentarsi solo un cavallo di razza come Giorgio Almirante, il quale miscelava con capacità non comuni contenuti a oratoria finissima, sguardo magnetico (come scrive Antonio Carioti nella prefazione) a una chiara attitudine alla fascinazione delle folle. Egli fu il punto di raccordo. Dopo le esperienze di De Marsanich e Michelini, la sua lunga segreteria fu allo stesso tempo esercizio di leadership carismatica e, per quanto possibile, anche di compromesso tra le varie anime. Pur essendo la sua figura la principale catalizzatrice del consenso, i giovani lettori scopriranno ora che in quel partito di monolitico c'era solo la strategia pubblica. La pubblicistica non esita a descriverle come personalità di secondo piano. Eppure, all'interno si agitavano fermenti di vario tipo che ricoprivano un ampio spettro: dal «fascismo eretico» di Niccolai alla visione anticipatrice di De Marzio che «per vincere la tentazione dell'isolamento» fu tra gli artefici della scissione di Democrazia nazionale; da Mennitti «interprete di quella scuola pugliese, pragmatica e realistica» che voleva superare l'eredità del fascismo a Massi con la «nazione sociale e l'umanesimo del lavoro». Lo stesso rautiano «sfondamento a sinistra» fu solo una delle tante sintesi dietro le quali si manifestavano elaborazioni programmatiche, snervanti discussioni e intriganti iniziative editoriali che non potevano avere alcun sbocco pratico per via della rigida situazione internazionale.Almirante se ne rese conto sin da subito. Accelerando oppure rallentando, a volte sul fronte del nostalgismo altre volte su quella che giornalisticamente venne definita la «politica del doppiopetto», e convincendo i suoi elettori che lo spazio fosse esiguo e solo in quello bisognasse arare. Nonostante ciò, la Fiamma fu animata da un groviglio di pulsioni che, ad analizzarle a distanza di decenni, ce la fanno apparire non priva di vitalità. Marco Tarchi, per esempio, il più giovane di quella schiatta di pensatori fu tra gli organizzatori dei Campi Hobbit e oggi è sostenitore di una sfida metapolitica.Cosa resterà di tutto ciò? Di certo, oltre ad Almirante, la vivacità culturale di questi leader mancati e la gioiosa anarchia delle organizzazioni giovanili. E resteranno le passioni e i sogni di svariate generazioni disilluse dopo aver visto all'opera Alleanza nazionale. Usciti dalla «casa del padre» non pochi parvenu furono catapultati in ruoli di governo locale e nazionale a cui erano palesemente impreparati. Terze e quarte fila appagate dalla ribalta mediatica lasciarono che si compisse il suicidio collettivo senza battere ciglio.
Un suicidio portato a compimento da Gianfranco Fini, il quale inebriato da costanti esercizi egotistici pensò bene di creare una destra «differente» e ne plasmò una, talmente «differente», da portarla all'annientamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.