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Il folletto Lino Toffolo, nobile (spirito) veneziano

Una carriera tra cabaret, cinema e tv a far ridere con garbo Diceva che era tutto frutto del caso. Invece fu grande professionalità

Il folletto Lino Toffolo,  nobile (spirito) veneziano

«Ragazzi e ragazzini, scusatemi! Ma sdraiarsi sui binari per farsi un selfie un attimo prima che passi il treno non è coraggio, ma mona pura, da 24 carati!», aveva scritto di recente Lino Toffolo su Facebook, criticando la pericolosa moda giovanile di scattare un clic sui binari. Era così, scanzonato e bonario, l'attore, cantautore e cabarettista veneto 81enne, morto ieri d'infarto a casa sua, a Murano, dopo essere stato operato due volte a Venezia per problemi cardiaci. E sempre animato da un'ironia sottile, apprezzata in televisione e al cinema, dove spesso forniva la tipica caratterizzazione del veneziano ubriaco, che «in vino veritas» non la mandava a dire. Appresa la notizia della sua scomparsa, il sindaco di Venezia Luigi Brugnano in un tweet ha scritto: «Ciao#Lino Toffolo, autentico interprete del sentimento veneziano. La città ti abbraccia e ti ringrazia». Mentre Arrigo Cipriani, anima dello Harry's Bar che Lino frequentava, rivela: «Da qualche anno eravamo molto amici. Era una compagnia speciale, aveva un umorismo leggero, normalmente veneziano, come non ce ne sono più». Testimone d'una venezianità garbata e sorridente, ormai scomparsa, Toffolo ha svelato pregi e difetti della Serenissima, spaziando, a livello nazionale, nei campi più disparati.

Nato a Murano nel 1934, l'artista aveva mosso i primi passi a teatro con la Compagnia dei Delfini di Venezia, per poi passare al Derby di Milano, tempio del cabaret dove si esibivano artisti come Enzo Jannacci, Bruno Lauzi, Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni, Massimo Boldi. E sulle assi di legno Lino divenne protagonista di Sior Toni Bellagrazia (1965) e del prologo di La moscheta (1998) di Ruzante, con la regia di De Bosio, incarnando il carceriere in Il pipistrello di Strauss (1991) e facendo la voce recitante in Pierino e il lupo di Prokovief e nella Histoire du soldat di Stravinskij.

Di sé, sosteneva d'essere «una celebrità nata dalla gavetta estrema, in una precarietà quasi da avanspettacolo (ma dove vai se la banana...), da tutta una serie di fortunati Perché non vieni a..?. Praticamente è successo tutto per caso (Pippo Baudo ancora non c'era)». Non ci sarà stato il Pippo nazionale, alla Rai, quando questo caposcuola d'ironia scrisse la sigla del programma radiofonico El Liston, ma molti genitori e nonni che furono bambini all'epoca di canzoncine come Johnny Bassotto, Oh Nina e E tutti i gatti miao, le hanno cantate, a loro volta, alle generazioni successive. Poliedrico come pochi, Toffolo era il beniamino dei più piccoli e del pubblico televisivo, che l'ha seguito dai tempi di Canzonissima (1971), con Alighiero Noschese, o al posto di Claudio Lippi nel gioco a quiz di Canale Cinque Tuttinfamiglia, dal 1987. Nel 1989, poi, ha condotto con Gino Rivieccio il gioco a quiz Casa mia.

La sua carriera cinematografica inizia nel 1968, con Lina Lina Wertmüller, che lo ricorda così: «Sembrava un folletto benefico e dirigerlo fu molto piacevole. Attento, diligente, pronto alle improvvisazioni, con Lino se ne va un modo di fare cinema gioioso e spensierato, tuttavia altamente professionale».

Affiancato da Marcello Mastroianni in Culastrisce, nobile veneziano; da Vittorio Gasmann in Brancaleone alle crociate di Mario Monicelli e da Adriano Celentano in Yuppi du, ambientato a Venezia, Toffolo è stato diretto da autori come Salvatore Samperi e Dino Risi, allineando 24 titoli lungo una carriera sfaccettata. Volto familiare agli amanti delle fiction da L'ultimo Papa Re (2013), con Gigi Proietti a Scusate il disturbo (2009), con Lino Banfi , porta via con sé una grande maschera.

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