Foucault contro il potere Senza sapere che cosa sia

Il filosofo francese negava l'esistenza dell'uomo in quanto individuo. Affogandolo in una rete «occulta» di relazioni

Foucault contro il potere Senza sapere che cosa sia

Il pensiero di Michel Foucault ha influenzato negli ultimi vent'anni, in modo determinante, la cultura della sinistra radicale europea. Questo pensiero è ora sottoposto ad un'impietosa analisi da Jean-Marc Mandosio in Longevità di un'impostura: Michel Foucault (Enrico Damiani Editore, pagg. 157, euro 14), che non intende prendere in esame l'intero corpus teorico del filosofo francese, né misconoscerne l'importanza. Ne mostra però alcune incontrovertibili contraddizioni, mettendo in luce la sua inconsistenza sotto il profilo della coerenza etica e teorica. Riporta, fra i tanti, due esempi clamorosi. Foucault, riconosciuto come colui che ha demolito ogni giustificazione del potere, nel 1979 salutò con favore la rivolta del fondamentalismo islamico contro lo Scià di Persia, giungendo a definire l'ayatollah Ruhollah Khomeini «il vecchio santo in esilio a Parigi» e l'insurrezione contro lo Scià «la forma più moderna di rivolta (pervasa) di spiritualità politica» (!). Inoltre, in un famoso dibattito con Noam Chomsky, si dichiarò favorevole alla dittatura comunista.

Per Mandosio queste incoerenze non sono casuali, perché derivano dal carattere stesso del pensiero foucaultiano, la cui natura è apertamente contraddittoria. Del resto, è proprio Foucault a dichiarare icasticamente: «posso dire che sono e non sono; il cogito non conduce ad un'affermazione d'essere, ma apre su tutta una serie di domande nelle quali l'essere viene messo in discussione». E ancora: «non domandatemi chi sono e non chiedetemi di restare lo stesso: è una morale di stato civile; regna sui nostri documenti: ci lasci almeno liberi quando si tratta di scrivere».

In effetti il segno rivoluzionario delle sue critiche, che vorrebbero demolire gli epistèmi classici della razionalità del moderno e mettere in discussione tutte le certezze acquisite - compresa l'idea stessa di verità (non la sua, però!) -, partono da una considerazione fondamentale riassumibile in questi termini: la natura umana non esiste, in quanto essa è costituita dall'intreccio indefinito - e indefinibile - con la cultura. Scrive senza possibilità di equivoci: «l'uomo propriamente detto non esiste, esiste l'Umanità, poiché tutto il nostro sviluppo è dovuto alla società, sotto qualunque rapporto lo si consideri. L'uomo è un'invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima». Nella concezione strutturalista, anzi post-strutturalista, di Foucault, dove non vi sono confini teorici definitivi perché tutto è dato dalla regionalizzazione dei saperi e dalla trasmutazione dei generi, gli individui sono valutati in sistemi di pensiero tendenti a trascendere i loro poteri - razionali, a-razionali o irrazionali.

L'uomo risulta scomposto e assorbito da strutture profonde, siano esse storiche, economiche, sociali, fisiologiche, psicologiche: l'ontologia dell'essere è l'ontologia dell'uomo-società-storia o dell'uomo natura-psiche. La scienza dell'umano è quella che individua e spiega questa intrinseca rete pluriversa. Non esiste più l'individuo, ma la trama delle sue relazioni, ovvero ciò che è dato dalla continua, mutante struttura occulta che lo sottende. Egli cessa, per così dire, di essere il soggetto di se stesso. Si scopre che ciò che lo rende effettivo è un insieme di strutture che può pensare e descrivere, ma di cui non è il protagonista determinante. In altri termini, è un ente in balìa della sua trasversale esperienza.

Ne consegue che la volontà umana autocosciente giunge alla sua completa dissoluzione: l'individuo è soltanto un residuo e con esso, naturalmente, anche la sua specifica libertà. Egli è stato decentrato e la sua coscienza dislocata: appare infatti intercambiabile, poroso, contraddittorio, policentrico, privo di univocità. Siamo all'enfasi nichilistica del soggetto, la cui esistenza si dà, allo stesso tempo, come processo, oblio, nomadismo, perdita di ogni senso originario. Di qui il sostanziale carattere ibrido e incerto della scrittura foucaultiana, la cui insistenza ossessiva del trasversale per l'indeterminato, il dissociato, il frammentato, il decostruito si presta a molteplici valenze interpretative perché, alla fin fine, tutto vale; un universo concettuale che ha fatto la gioia intellettuale dei suoi seguaci e che spiega, come afferma giustamente Mandosio, «la strabiliante diversità delle attuali utilizzazioni dell'opera di Foucault».

Ciò risulta evidente anche nella sua analitica del potere, quando dichiara: «noi ignoriamo ancora che cos'è il potere, questa cosa enigmatica, a volte visibile e invisibile, presente e assente, investita in ogni parte». Il potere è «una modalità di azione sulle azioni degli altri», lo si coglie cioè solo quale mero effetto, senza poter risalire univocamente a una sola causa cosciente. Il potere è ovunque, essendo immanente alla struttura sociale. Ne consegue, in un certo senso, la sostanziale equivalenza di tutti i sistemi politici e l'ovvio atteggiamento estremistico tendente a equipararli.

In conclusione, siamo qui, con la distruzione dell'idea di persona integra, razionale e responsabile di se stessa - in abissale distanza da tutta la civiltà liberale, che vede l'individuo quale soggetto libero, cosciente, creativo, in grado, con la sua volontà, di tracciare consapevolmente il corso della storia. Paradossalmente, ma del tutto logicamente, la concezione libertaria di Foucault scivola nel magma labirintico più profondo della possibilità epistemologica del totalitarismo contemporaneo. La possibilità di questa epistemologia è infatti organico-totalitaria, per la quale l'uomo è sempre, inevitabilmente, parte delle leggi che lo governano, e queste leggi o sono storico-sociali o sono naturali.

Presa completamente sul serio, questa epistemologia si rende avversa alla libertà, dato che non tiene conto del singolo individuo - storicamente costituito nella sua irriducibile e irripetibile unicità -, il quale intende essere sempre ciò che vuole essere e non invece quello che vorrebbe che fosse il guru della French Theory.

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