Chiunque altro l'avrebbe presa alla larga. Avrebbe definito la quasi disperata impresa di ripetere l'irripetibile solo una «libera interpretazione». Tutt'al più una «lettura personale». Lui no. Per fare Nino Manfredi il talentuoso Elio Germano ha puntato al riferimento diretto; all'imitazione esplicita. Ricordate il modo in cui il divo di Pane e cioccolata e C'eravamo tanto amati caracollava, quello in cui gesticolava? Ricordate la voce ora chioccia ora tagliente, gli sguardi imbambolati, gli ammiccamenti furbetti? Beh: ritroverete tutto pedissequamente rifatto dal protagonista di In arte Nino, il bio-pic sulla giovinezza di Manfredi (in onda oggi su Raiuno) che del repertorio del magnifico Nino letteralmente si nutre; dalla regia del figlio Luca («Chi meglio di lui poteva raccontarlo?» si entusiasmano gli autori) alla citazione di scene e gag tratte da film come Per grazia ricevuta, Vedo nudo o Gli anni ruggenti, e replicate nella sceneggiatura firmata dagli stessi Luca ed Elio, con Dido Castelli.
E se il regista almeno ammette che «Elio ha avuto del coraggio, a seguirmi in questa avventura spericolata», l'attore non se ne mostra minimamente intimidito. «Ho accettato subito la proposta, perché si trattava di raccontare una giovinezza che, poco nota, già conteneva tutti gli ingredienti del futuro successo di Manfredi: umanità, ironia, tenacia».
Non solo: nel dipanare la corsa del giovane Saturnino (poi Nino) dalla natìa Ciociaria al sanatorio per tubercolitici, dall'Accademia d'Arte Drammatica fino al successo, «non abbiamo voluto fare un racconto realistico spiega Germano - ma ricostruire il tono di un'epoca, la vitalità, la fantasia e anche la follia degli anni cinquanta».
Ecco: in questo, sì, che i due attori forse si rassomigliano davvero: «Il suo approccio alla vita ricorda il mio riflette Germano -. Il giovane Nino non seguiva, come tutti i giovani, il sogno di ciò che voglio fare da grande. Ma le proprie inclinazioni più ribalde. Tutti lo ricordiamo come magnifico Geppetto? Beh: noi lo raccontiamo come imprevedibile Pinocchio. Un discolo che ha sconfitto la malattia, che ha continuato a sfidare la morte (nonostante la tubercolosi contratta da giovane continuò a fumare) e che infine ha ceduto, diventando attore piuttosto che avvocato, come voleva il padre, al suo Paese dei Balocchi».
Interpretato anche da attori noti che rifanno divi del passato (Miriam Leone è la bellissima e tenace moglie Erminia; Stefano Fresi rifà Tino Buazzelli, Barbara Ronchi incarna Rossella Falk, Leo Gullotta e Giorgio Tirabassi sono un professore e un infermiere del sanatorio). «Dover interpretare il padre per la regia del figlio? Non è stato complicato.
Al contrario: avere Luca dietro la cinepresa era garanzia del fatto che il nostro fosse un omaggio sincero, e non una mera operazione speculativa. Tutto senza prendersi neanche troppo sul serio, però. Proprio come ci ha insegnato a fare Nino».
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