Un Gualazzi travolgente infiamma la gara dei big

Un Gualazzi travolgente infiamma la gara dei big

nostro inviato a Sanremo

Pronti (la sigla), partenza (il siparietto di Fazio) e poi via (le canzoni, finalmente). Insomma all'Ariston la musica ha debuttato ieri sera senza troppi squilli, giusto il tributo a Verdi sulle note del Nabucco. Però in teatro la tensione era assoluta, molto più di quella che si respirerà oggi dopo i primi bilanci (e gli indici d'ascolto). E forse tutto avrebbe voluto, Marco Mengoni, tranne che di iniziare proprio lui, emotivo com'è, la gara vera e propria. Due brani, ovviamente. Il primo (scritto con Casalino) è soprattutto una dichiarazione d'intenti: L'essenziale (che ha passato il “turno”). E l'essenzialità è il pregio del grande interprete, che riesce a trasmettere emozioni senza deragliare nell'autoreferenzialità compiaciuta o talvolta retorica. A lui è riuscita meglio, in questa serata inaugurale del Festival più complicato della storia recente, nel secondo brano, scritto dalla coppia d'assi Gianna Nannini e Gino Pacifico. Per capirci, l'arioso pop rock Bellissimo diventerà giocoforza uno dei suoi cavalli di battaglia, fatto com'è per essere cantato dal vivo. Bravo, si è smarcato finalmente dalla giocosità interpretativa che talvolta lo neutralizzava.
Di certo Raphael Gualazzi non ha questi problemi: sul palco è un altro, si scatena, quasi si deforma, diventa una sorta di orco creativo quando invece fuori dalla scena è mansueto e riservatissimo. Sai (ci basta un sogno) è forse più radiofonica, per quanto possibile nel suo repertorio pieno zeppo di jazz e, di fatti, è stata premiata dal voto. Ma Senza ritegno è una forza della natura, sia nel testo complesso e onirico, che nell'interpretazione al piano, sostanzialmente inarrestabile. Sarà una rivelazione, comunque vada. Un po' lo è stato anche Daniele Silvestri, nonostante sia ormai un cantautore di lungo corso perché ha interpretato la sua (nostalgica e un po' contestratrice) A bocca chiusa mentre Renato Vicini ne “traduceva” il testo nella lingua dei segni. Un bell'esempio di interazione (premiato dal voto) che compensa la ‘silvestritudine” più prevedibile de Il bisogno di te (ricatto d'onor), bella e ritmata ma inevitabilmente legata al ricordo di Salirò. E se proprio di ricordi bisogna parlare, forse è più struggente quello di Lelio Luttazzi che in punto di morte aveva espresso a sua moglie Rossana il desiderio di sentir cantare al Festival il suo brano inedito Dr Jekyll Mr Hyde Detto, fatto. E la coppia elettroswing Simona Molinari e Peter Cincotti lo ha reso ancor più elegante nella sua semplicità, esattamente come sono riusciti a ritagliare con La felicità (incoronata dalla sala stampa e dal televoto)un altro angoletto di quell'old style che sembra sempre più nuovo.
A proposito: all'ottanta per cento dei telespettatori di Raiuno saranno sembrati nuovi anche i Marta sui Tubi, che in realtà hanno già registrato 5 dischi e sono tra i cocchi della critica specializzata: promossi a metà. La loro Vorrei è probabilmente troppo pretenziosa per un palco come l'Ariston mentre Dispari potrebbe aver un bell'esito anche commerciale. Chi forse in questo aspetto spera più di tutti è la grande incognita Maria Nazionale, arrivata sotto tono al Festival e molto riservata in tutti questi giorni. Ha cantato due pezzi da novanta (tra l'altro l'unica dei Big a usare il dialetto napoletano in È colpa mia della coppia Servillo Mesolella) ma chissà quanto entusiasmo ha suscitato la sua interpretazione a pieni polmoni ma manierata.

Forse per questo si è rivelata più convincente Chiara, vincitrice di X Factor e agitatissima quando è salita in scena. Per uno strano paradosso, ad aprire e chiudere sono stati i due emotivamente più spaesati. E per un divertente gioco del destino, proprio loro sono stati anche due dei più convincenti.

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