La guerra segreta di Stalin per affamare l'Ucraina

Anne Applebaum dà voce all'«Holodomor», la tragedia che fece cinque milioni di morti ma che nessuno ricorda

Matteo Sacchi

In ucraino esiste una parola specifica: holodomor. È la crasi di «holod», «carestia», e «moryty», «uccidere». Terribile sin nel suono, indica in modo specifico, la Grande carestia che causò, tra il 1931 e il 1933, 5 milioni di morti nel Paese, allora parte - riottosa e ribelle - dell'Unione sovietica. L'Urss, a causa delle disastrose giravolte economico-politiche dei bolscevichi, era solita precipitare nelle crisi alimentari più nere. Ma la crisi ucraina dell'inizio degli anni Trenta fu qualcosa di diverso. Se da un lato le collettivizzazioni forzate, volute da Stalin, si rivelarono devastanti per tutti i territori sottoposti alle direttive dittatoriali che arrivavano da Mosca, nel caso del «granaio della Russia» si unì una specifica volontà di non portare nessun aiuto ai contadini affamati e di nascondere al mondo l'entità della strage. Perché?

La genesi di questa ferocia la racconta nel dettaglio la giornalista americana (e docente della London School of Economics) Anne Applebaum nel suo saggio appena pubblicato da Mondadori: La grande carestia. La guerra di Stalin all'Ucraina (pagg. 540, euro 32). Altri studiosi, come lo storico Robert Conquest (1907-2015) hanno studiato lo sterminio a mezzo inedia che venne perpetrato nelle campagne ucraine, dove ci si opponeva alla russificazione e alla sovietizzazione forzata. La Applebaum però ha potuto avere accesso all'enorme messe di documentazione che gli ucraini hanno accumulato dopo il disfacimento dell'Urss e che nei loro archivi, a differenza di quelli moscoviti, è accessibile.

I presupposti della violenza di Stato iniziarono a maturare dal 1917. L'Ucraina, quando iniziò la rivoluzione, sviluppò da subito forti pulsioni a «fare parte per se stessa». I contadini erano consci del potenziale economico della «terra nera». Nelle città c'era una borghesia che vedeva nell'ucraino una lingua a parte, che venerava i poeti locali, come Taras Sevcenko. Se da un lato era aperta alla modernizzazione e agli ideali di una società più egualitaria, sinanco comunista, voleva tutelare le specificità del proprio popolo. Questo sentimento si manifestò con la creazione di forze locali che giocarono la propria partita nel più generale scontro tra Armata Rossa e Armate bianche. Nel 1919 la situazione era ormai degenerata e le campagne devastate. Quando la vittoria del bolscevichi risultò netta, l'Ucraina si normalizzò ed entrò nell'Urss (pur con alcuni strascichi militari come «l'armata nera» di Machno che continuò a combattere sino al 1921). Ma la pacificazione avvenne solo a patto di una certa tolleranza delle sue autonomie.

Ma intanto, nel 1920 ci fu una prima crisi alimentare grave. La causa? Lenin e il Comitato centrale iniziarono a fare requisizioni di grano. Tutti quelli che si opponevano erano accusati di essere kulaki (contadini ricchi nemici del proletariato). A frenare, in parte, il disastro fu il fatto che Lenin, quando la situazione degenerò, cercò in parte di mandare aiuti e, obtorto collo, accettò di aprire, con la Nuova politica economica, uno spazio per l'imprenditoria privata. Fu una soluzione tampone. I kulaki salvarono l'economia agricola russa e ucraina, ma la spaccatura tra i due mondi rimase sempre sotto traccia. Nel 1927 lo Stato sovietico era di nuovo in crisi, ci volevano 7,7 milioni di tonnellate di grano per nutrire gli operai delle città, anche a razioni ridotte. Ne arrivarono solo 5,4. Stalin colse l'occasione per passare alla statalizzazione di tutte le imprese agricole di qualche rilevanza.

L'Ucraina era un bersaglio perfetto, sia per la ricchezza potenziale delle sue terre, sia per i rapporti di spionaggio interno che avvisavano del fatto che gli ucraini non avevano mai smesso di sognarsi ucraini. Più di 25mila attivisti vennero spediti nelle campagne. Iniziarono gli espropri di massa. Chi si ribellava finiva in Siberia (o morto). Per sopravvivere bisognava denunciare i kulaki, se no si rischiava la distruzione del villaggio. Così i contadini denunciavano a casaccio gli scapoli, almeno non ci finiva di mezzo la famiglia. La Appelbaum descrive la caccia e gli espropri nei dettagli e in modo agghiacciante. Ci furono rivolte e proteste, ovviamente, ma finirono soppresse nel sangue. Intanto la produzione crollò in verticale. E Stalin vendeva grano all'estero... Qualcuno si preoccupò? Pochi l'Ucraina fu isolata dal resto del mondo. Senza aiuti mentre le truppe spadroneggiavano nelle campagne. Nell'inverno del 1932 si moriva di fame in città e campagna, a milioni. Una situazione così delirante che il cannibalismo diventò un fenomeno diffuso.

Si poteva finire sepolti vivi dalla folla inferocita per aver rubato due cipolle, o fucilati per una pecora. Sui giornali sovietici intanto nemmeno una riga. Spesso venivano fatti sparire anche i corpi, vietate le tombe. Un lavoro così ben fatto che ancora oggi la parola Holodomor a molti potrebbe non dire nulla.

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