I cento volti di Bob Hoskins il fuoriclasse dei caratteristi

Il suo eterno cruccio era che lo confondessero con il più celebre connazionale Anthony Hopkins, per via di quel cognome troppo somigliante e, a ben guardare, anche per qualche tratto del viso. Una polmonite, che ha infierito su un fisico già minato dall'Alzheimer, si è portata via Bob Hoskins nella stessa città, Bury St. Edmunds, nel Suffolk, dove era nato settantuno anni prima. Era uno di quegli attori il cui nome non dice nulla al pubblico della domenica, peraltro prontissimo a riconoscerlo su una locandina o in un trailer. Insomma più della carta d'identità valeva la sua faccia, espressiva come poche, che si ergeva su un fisico massiccio, anche se non certo da cestista. Prima di fare l'attore, divo non lo è mai diventato, si era imbarcato in mille mestieri, come capita spesso, da idraulico a camionista, da facchino a pompiere. Il fuoco doveva avere per lui una certa attrazione se per un breve periodo ne fu perfino mangiatore sulla pubblica piazza.
Una moltitudine di attività che trovò più tardi riscontro sul set, dove, proprio per la sua estrema versatilità, impersonò i personaggi più disparati. Difficile scovare una maggiore distanza tra il crudele gangster Owney Madden di Cotton Club (Francis Ford Coppola, 1984) al Giovanni XXIII televisivo (Il Papa buono di Ricky Tognazzi, 2003). Come la gran parte dei colleghi, soprattutto inglesi, quando decise di intraprendere la carriera artistica, cominciò dal teatro, entrando finalmente nella mitica Royal Shakespeare Company, come dire la laurea in recitazione.
Sarà un caso, ma il ruolo in cui dimostrò meglio il suo talento fu quello del bisbetico capocomico Vivian Van Damme in Lady Henderson presenta (Stephen Frears, 2005). Dove battibecca in maniera sublime con una grande attrice inglese, Judi Dench, la ricchissima vedova del titolo, che impiegherà tre quarti della commedia, ambientata nella Londra degli anni Trenta, a convincere il guitto, che il teatro in disuso da lei comprato e restaurato, avrebbe dovuto ospitare i primi, impensabili per l'epoca, spettacoli di spogliarello. Un duetto d'assi, sostenuto da dialoghi scintillanti, che purtroppo non ebbe nelle sale il successo che avrebbe meritato. Al contrario di Chi ha incastrato Roger Rabbit (Robet Zemeckis, 1988), il film che diede a Hoskins una discreta fama, aumentandone finalmente anche un conto in banca non ancora al livello della sua indubitabile classe. Sembrano facili, a pellicola terminata, le evoluzioni del detective privato Eddie Valiant in mezzo ai cartoni animati come il buffo coniglio del titolo. Invece le riprese furono tutt'altro che una passeggiata per ottenere il perfetto, stupefacente sincrono fra i personaggi disegnati e quelli in carne ed ossa, che valsero al film tre Oscar tecnici (montaggio, effetti speciali visivi e sonori). Chi abbia sottomano il dvd del film potrà ammirare l'abilità di Hoskins che saltabecca in solitudine fra i fantasmi.
Quanti ruoli nei quarant'anni giusti che intercorrono fra l'esordio in Al fronte, (Bob Kellett, 1972) e Biancaneve e il cacciatore (Rupert Sanders, 1972), quando diede l'addio alle scene per l'accertata insorgenza del Parkinson. Fu il cinico capo del Kgb staliniano Laurenti Beria (Il proiezionista di Andrej Konchalovskij, 1991), Nikita Kruscev (Il nemico alle porte di Jean-Jacques Annaud, 2001), Benito Mussolini (il televisivo italiano Io e il duce di Alberto Negrin, 1985), mastro Geppetto (Pinocchio2, anche questo per la tv italiana, di Alberto Sironi, 2008).

Fece addirittura la riserva di Robert De Niro, quando la capricciosa star nel 1987 fu a lungo indecisa se impersonare Al Capone in The Untouchables di De Palma, prima di dire finalmente sì. Ma forse il personaggio che gradì meno fu Edgar Hoover in Gli intrighi del potere (Oliver Stone, 1995). Per forza, il protagonista, nel ruolo di Richard Nixon, era quel rompi di Anthony Hopkins.

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