Sebbene suo padre gli ripetesse che «si può sempre fare meglio» e lui sia solitamente «molto autocritico», Alberto Barbera, per il terzo anno direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia, si professa «molto soddisfatto del programma» della 71ª edizione (dal 27 agosto al 6 settembre).
Nonostante l'autocritica, si promuove...
«Magari sarò smentito dai fatti, ma mi sembra che quest'anno la qualità media del cartellone sia alta. E che ci sia un equilibrio fra tutte le componenti che in un festival ci devono essere».
Ovvero?
«I film rivolti al grande pubblico come Boxtrolls , opera d'animazione per bambini-adolescenti-adulti, probabilmente l'ultimo girato con i modellini 3D eliminati dal digitale, oppure come Birdman di Alexis Iñárritu. Ci sono i film attesi come Il giovane favoloso di Mario Martone e The cut sul genocidio armeno. Ci sono le opere delle cinematografie emergenti e gli autori da festival che meritano di essere proposti al grande pubblico».
Nessun titolo che avrebbe voluto e ha scelto altri festival?
«Per ragioni di marketing Christopher Nolan con il suo Interstellar e Tim Burton con Big Eyes hanno scelto di bypassare tutti i festival. Non ho rimpianti. Aumentano le produzioni che non ritengono i festival un momento imprescindibile per la promozione».
Tendenza che rende i festival più autoreferenziali a cominciare dalla Mostra: molto d'essai , quasi una Locarno-bis.
«Stanno cambiando i rapporti nell'universo cinematografico. Il centro si restringe e i margini si espandono. Fino a qualche tempo fa il centro, cioè il mercato, era forte e assorbiva film molto diversi, pop, cinefili, d'autore. Ora il centro si ridimensiona, vengono distribuiti meno film per il mercato e si parla di disaffezione del pubblico e crisi dell'industria. Ma non è così, perché si allargano i margini, tutto quello che resta fuori dal mercato, la ricerca, la sperimentazione, le produzioni dei Paesi minori. Tutti producono cinema, in ogni angolo del mondo, con l'effetto che anche gli specialisti e i critici conoscono una parte minoritaria del cinema mondiale. I festival servono a far conoscere questi margini, le cinematografie laterali».
Ci saranno meno star?
«Questa è una preoccupazione comprensibile, ma fuori luogo. Nei film ci sono parecchie star e molte verranno al Lido. Inoltre, anche lo star system evolve, con un ricambio più rapido. Non dobbiamo più pensare solo a Clooney o alla Deneuve. Lo vedo dai tweet che riceviamo: ci chiedono informazioni su Emma Stone e Owen Wilson...».
Anche della rappresentanza italiana è soddisfatto?
«Sì. Anche qui, salvo smentita. Per questa edizione abbiamo visionato 177 lungometraggi. In pochi anni, secondo i dati dell'Anica siamo passati da 120 a 350 produzioni annuali (una cifra da anni '60, quando eravamo la seconda industria dopo Hollywood). Il problema è che la qualità è bassissima. La decina di titoli che abbiamo scelto per le varie sezioni ci sembra composta da opere di qualità, coraggiose, di autori disposti a rischiare...».
E il cinema americano? La concorrenza di Toronto si fa sentire?
«Quest'anno ha pesato meno dell'anno scorso, quando 12 anni schiavo scelse il festival canadese. Alcuni film ambìti non saranno né a Toronto né a Venezia. Gone Girl di David Fincher andrà solo a New York, una settimana prima dell'uscita, Inherent Vice di Paul Thomas Anderson non parteciperà a nessun festival e uscirà direttamente nei cinema americani a dicembre».
Negli anni scorsi il filo conduttore è stato quello dei fondamentalismi religiosi e della crisi della famiglia: quest'anno?
«La guerra. Non nel senso che vedremo film militari, ma storie connesse a situazioni di conflitto. Del resto, basta pensare a ciò che ha detto il Papa a proposito della terza guerra mondiale. Il cinema mostra di essere ancora un'antenna sull'attualità».
Nelle sezioni parallele c'è molta politica. Con il film di Maresco e quello di Sabina Guzzanti si poteva creare una sezione dedicata a Berlusconi in Sicilia...
«Potevamo chiamarla Controcampo berlusconiano (ride) . È una coincidenza. Al di là del carattere provocatorio di certe pellicole bisogna riconoscere che il cinema italiano è un po' schizofrenico. Molte sono commedie, spesso di bassa qualità, nulla a che vedere con la corrosività degli anni '60. Poi c'è il cinema d'autore, afflitto da solipsismo e incapacità di parlare al grande pubblico. Infine, ci sono le opere che vincono premi e Oscar. Se qualche autore riflette sul presente è inevitabile che si soffermi sulle figure che hanno fatto la storia degli ultimi vent'anni. Per una Guzzanti che analizza la trattativa Stato-mafia ci sono un Martone che torna sull'Ottocento come luogo delle radici, un Munzi che ambienta ad Africo una faida famigliare e un Saverio Costanzo che porta a New York un dramma psicologico con due grandi attori».
Anche nei classici e nei restauri sembra prevalere lo sguardo al passato.
«Molti giovani non hanno mai visto Umberto D. in condizioni ideali. È una scelta rivolta a loro che, in gran parte, non conoscono la storia del cinema».
Una volta il cinema anticipava il futuro...
«Lo fa ancora. Il futuro sono i registi emergenti che saranno cineasti tra dieci anni. Quanto alla contemporaneità degli argomenti, in concorso c'è un film sulla guerra fatta con i droni».
L'anno scorso disse che il
gioiello nascosto era Locke . Quest'anno?«Credo che la rivelazione sarà Peter Bogdanovich che da 13 anni non dirigeva un film: una commedia con la freschezza e la qualità di ... e tutti risero e Ma papà ti manda sola? ».
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