I monti incantati di Hugo: "Le Alpi, un libro immenso"

In Svizzera nel 1839 fra picchi, burroni e pascoli lo scrittore interpreta il linguaggio della Natura

I monti incantati di Hugo: "Le Alpi, un libro immenso"

di Victor Hugo

Mi sono allontanato dalla strada, e in mezzo ad alcune grosse rocce franate ho trovato la piccola fonte limpida e gioiosa che ha fatto spuntare là, a duecentomila piedi dal suolo, prima una cappella, poi una casa di cura. È il percorso normale delle cose in questo paese che le sue grandi montagne rendono religioso: prima l'anima, poi il corpo. La fonte cade da una fenditura delle rocce in lunghi filamenti di cristallo, ho staccato dal suo chiodo arrugginito la vecchia scodella di ferro dei pellegrini, e ho bevuto quest'acqua eccellente, poi sono entrato nella cappella che affianca la fonte.

Un altare ingombro di un lusso cattolico piuttosto cadente, una Madonna, fiori appassiti, vasi sbiaditi, una collezione d'ex-voto dove c'è di tutto, gambe di cera, mani in ferro bianco, insegne raffiguranti naufragi sul lago, delle effigi di bimbi salvati, divise di carcerati con le loro catene, e perfino dei bendaggi per l'ernia; ecco l'interno della cappella.

Niente mi metteva fretta; ho fatto una passeggiata nei dintorni della fonte, mentre la mia guida si riposava e beveva qualche aperitivo della casa.

Il sole era riapparso. Un rumore vago di grandine mi attirava. Sono arrivato così ai bordi di un burrone molto profondo. Alcune capre vi brucavano sulla scarpata, appese ai cespugli. Vi sono sceso, un po' a quattro zampe come loro.

Lì tutto era piccolo e grazioso; l'erba era fina e dolce; dei bei fiori blu dal gambo lungo stavano alla finestra attraverso i rovi e sembravano ammirare un grazioso ragno giallo e nero che faceva dei volteggi, come un saltimbanco, su di un filo impercettibile teso da un cespuglio all'altro. La scarpata sembrava chiusa come una stanza. Dopo aver guardato il ragno, come facevano i fiori (è sembrata una lusinga per quanto era stato ammirevole per l'audacia e l'agilità quando mi ha visto lì), ho avvistato un corridoio stretto all'estremità del burrone, e, superato questo corridoio, la scena è cambiata bruscamente.

Ero su una stretta spianata di roccia e d'erba appeso come un balcone alla parete smisurata del Rigi. Avevo davanti a me in tutta la loro estensione il Burgen, il Buochserhorn e il Pilato; sotto di me, a una profondità immensa, il lago di Lucerna, spezzato da baie e golfi, e dove si rimiravano quelle facce di giganti come in uno specchio rotto. Sopra il Pilato, in fondo all'orizzonte, splendevano dieci cime innevate; l'ombra e la vegetazione ricoprivano i muscoli possenti delle colline, il sole faceva risaltare l'ossatura colossale delle Alpi; i graniti rugosi si piegavano in lontananza come delle fronti preoccupate; i raggi, piovendo a grappoli, davano un aspetto splendido a queste belle vallate che in certe ore riempiono i rumori paurosi della montagna; due o tre barche microscopiche correvano sul lago, trainando dietro di loro una grande scia aperta come una coda d'argento; vedevo i tetti dei paesini con i loro fumi che salgono e le rocce con le loro cascate simili a fumate che scendono.

Era un insieme prodigioso di cose armoniose e magnifiche piene della grandezza di Dio. Mi sono voltato, chiedendomi a quale essere superiore e prescelto la natura serviva questo meraviglioso festino di montagne, di nubi e di sole, e cercando un testimone sublime a questo sublime paesaggio.

C'era un testimone in effetti, uno solo, poiché per il resto, la spianata era selvaggia, brulla e deserta. Non dimenticherò mai questo episodio. In un anfratto della roccia, seduto con le gambe penzolanti su di una grossa pietra, un idiota, un rozzo, dal corpo fragile e dalla faccia enorme, rideva di un riso stupido, il viso in pieno sole, e guardava a caso davanti a lui. O abîme! Le Alpi erano lo spettacolo, lo spettatore era un cretino.

Mi sono sentito perduto in questa antitesi spaventosa: l'uomo opposto alla natura, la natura nel suo atteggiamento più superbo, l'uomo nella sua postura più miserabile. Quale può essere il senso di questo misterioso contrasto? Perché quest'ironia nella solitudine? Devo credere che il paesaggio fosse destinato a lui cretino, e l'ironia a me passante?

Del resto, il rozzo non ha fatto alcuna attenzione a me. Aveva in mano un grosso pezzo di pane nero che mordeva di tanto in tanto. È un malato a cui si dà da mangiare all'ospizio dei cappuccini che si trova dall'altra parte del Rigi. Il povero idiota era venuto lì a cercare il sole di mezzogiorno.

Un quarto d'ora dopo avevo ripreso il sentiero; e i bagni freddi e la cappella e il burrone e lo sciocco erano scomparsi dietro di me in una delle anse che formano il pendio meridionale del Rigi.

Dopo aver passato il pedaggio, dove si chiedono ai viaggiatori sei batz (diciotto soldi) per cavallo, mi sono seduto al bordo del precipizio, e come il cretino ho lasciato penzolare i piedi su un torrione in rovina sepolto fra i rovi a settecento metri sotto di me.

Qualche passo dietro di me ridevano e chiacchieravano, rotolandosi nell'erba, tre marmocchi inglesi alquanto carini e infagottati, giocavano con la loro balia dal grembiale bianco, come in Lussemburgo, e mi salutavano in francese. (...)

In presenza di questo spettacolo indicibile, si capiscono gli idioti di cui pullula la Svizzera e la Savoia. Le Alpi producono molti sciocchi. Non è dato a tutte le intelligenze di avere a che fare con tali meraviglie e di portare a passeggio dal mattino alla sera senza meraviglia e senza stupore un raggio visivo terrestre di cinquanta leghe su una circonferenza di trecento.

Dopo un'ora passata sulla cima del Rigi, si diventa statue, si mettono radici in un punto qualunque della cima. L'emozione è immensa. La memoria non è meno impegnata dello sguardo, il pensiero non è meno impegnato della memoria. Non è solo un segmento del globo che abbiamo sotto gli occhi, è anche un segmento della storia.

Il turista vi viene a cercare un punto di vista; un pensatore vi trova un libro immenso dove ogni roccia è una lettera, dove ogni lago è una frase, dove ogni paese è un accento, e da dove escono alla rinfusa come un fumo duemila anni di ricordi. Il geologo vi può scrutare la formazione di una catena di montagne, il filosofo può studiarci la formazione di una delle catene umane, di razze o d'idee che si chiamano nazioni; uno studio più profondo dell'altro.

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