Harry Clifton fu svegliato dal trillo del telefono.
Era nel bel mezzo di un sogno, ma non ricordava di cosa si trattasse. Forse quel suono metallico insistente faceva semplicemente parte del suo sogno. Si girò con riluttanza e sbarrò gli occhi davanti alle lancette fosforescenti della sveglia che aveva sul comodino: 6.43. Sorrise. Una sola persona avrebbe avuto l'ardire di chiamare a quell'ora del mattino. Prese in mano il telefono e mormorò, con voce esageratamente assonnata: «Buongiorno, cara». La risposta non fu immediata e, per un istante, Harry si chiese se per caso il centralinista dell'albergo non avesse passato la telefonata alla camera sbagliata. Stava per posare la cornetta, quando udì un singhiozzo. «Sei tu, Emma?»
«Sì» fu la risposta.
«Che succede?» chiese, cercando di calmarla.
«Sebastian è morto.»
Harry non rispose immediatamente, perché voleva credere che fosse ancora un sogno. «Com'è possibile?» disse infine. «Gli ho parlato ieri.»
«È successo stamattina» rispose Emma, che evidentemente riusciva a pronunciare solo qualche parola per volta.
Harry si mise a sedere, ora del tutto sveglio.
«In un incidente» continuò Emma, tra un singhiozzo e l'altro.
Harry tentò di restare calmo, in attesa che lei gli dicesse esattamente cos'era successo.
«Stavano andando a Cambridge insieme.»
«Stavano?» ripeté Harry.
«Sebastian e Bruno.»
«Bruno è vivo?»
«Sì, ma è in ospedale, a Harlow, e i medici non sono certi che supererà la nottata.»
Harry scostò bruscamente la coperta e posò i piedi sulla moquette. Aveva freddo e sentì salire la nausea. «Prendo subito un taxi per l'aeroporto e salgo sul primo volo per Londra.»
«Io vado all'ospedale» disse Emma. Non aggiunse nient'altro e Harry si chiese per un istante se per caso non fosse caduta la linea. Poi la udì sussurrare: «Bisogna identificare il corpo».
Emma posò la cornetta, ma passò un po' di tempo prima che riuscisse a trovare la forza di alzarsi in piedi. Alla fine, attraversò la stanza con qualche difficoltà, aggrappandosi ai mobili come un marinaio in mezzo a una tempesta. Aprì la porta del salotto e trovò Marsden in piedi nell'atrio, a capo chino. Non aveva mai visto il loro domestico mostrare alcun tipo di emozione di fronte a un membro della famiglia e fece fatica a riconoscere la sua sagoma avvizzita ora che, per sorreggersi, aveva afferrato la mensola del camino: la consueta maschera di autocontrollo aveva lasciato il posto alla dura realtà della morte.
«Mabel le ha preparato una borsa da viaggio, signora» balbettò. «Se me lo permette, la accompagnerò in macchina all'ospedale.»
«Grazie, Marsden, è davvero premuroso da parte sua» disse Emma, mentre lui le apriva il portone.
Marsden la prese sottobraccio mentre scendevano i gradini in direzione dell'automobile: era la prima volta che sfiorava la signora Clifton. Aprì la portiera e lei salì; si sedette come una vecchia signora sul rivestimento di cuoio. Marsden avviò il motore, inserì la prima e partì per il lungo viaggio da Manor House al Princess Alexandra Hospital di Harlow.
Emma si rese conto di non aver chiamato suo fratello o sua sorella per informarli dell'accaduto. Avrebbe telefonato a Grace e Giles in serata, quando le probabilità che fossero soli sarebbero state più alte. Non era una notizia che desiderasse condividere con eventuali estranei. E fu in quel momento che avvertì una fitta lancinante allo stomaco, come una pugnalata. Chi avrebbe detto a Jessica che non avrebbe mai più visto il fratello? Sarebbe rimasta la stessa ragazzina allegra che correva intorno a Seb come un cucciolo obbediente, scodinzolante e in sfrenata adorazione? Jessica non doveva saperlo dalle labbra di qualcun altro, il che significava che Emma sarebbe dovuta ritornare a Manor House il prima possibile.
Marsden si immise nel piazzale della stazione di servizio locale, dove faceva il pieno ogni venerdì pomeriggio. Quando l'addetto alla pompa notò la signora Clifton sul sedile posteriore della Austin A30 verde, si sfiorò la visiera del cappellino. Lei non rispose al saluto e il giovane si chiese se per caso aveva fatto qualcosa di sbagliato. Riempì il serbatoio e alzò il cofano per controllare l'olio. Una volta chiuso il cofano, si sfiorò nuovamente il cappello, ma Marsden si allontanò senza dire una parola e senza lasciare la consueta moneta da mezzo scellino.
«Che gli è preso?» mormorò il giovane mentre l'automobile spariva.
Tornati sulla strada, Emma cercò di farsi venire in mente le parole esatte utilizzate dal tutor per le ammissioni del Peterhouse College per comunicarle la notizia. Mi rincresce doverle dire, signora Clifton, che suo figlio è rimasto ucciso in un incidente stradale. Al di là il quel crudo comunicato, il signor Padgett sembrava sapere pochissimo. Del resto, come aveva spiegato, non era altro che un messaggero.
Una serie di interrogativi seguitava a scontrarsi nella mente di Emma. Perché suo figlio stava andando a Cambridge in macchina, se lei gli aveva acquistato un biglietto del treno un paio di giorni prima? Chi guidava, Sebastian o Bruno? Viaggiavano a velocità eccessiva? Era scoppiata una gomma? Era rimasta coinvolta un'altra macchina? Tante domande, ma dubitava che qualcuno conoscesse tutte le risposte.
Qualche minuto dopo la telefonata del tutor, la polizia aveva chiamato per informarsi se il signor Clifton potesse passare dall'ospedale per l'identificazione del corpo. Emma aveva spiegato che suo marito era a New York, impegnato in un tour di promozione dei suoi libri. Forse, se avesse saputo che l'indomani sarebbe stato di ritorno in Inghilterra, non avrebbe accettato di prendere il suo posto. Grazie a Dio, sarebbe arrivato in aereo e non avrebbe dovuto attraversare l'Atlantico in cinque giorni e piangere da solo.
@ 2014 Jeffrey Archer
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