"Jupiter - Il destino dell'Universo"

Effetti speciali, trama intergalattica e ambientazione spettacolare non bastano a emozionare

"Jupiter - Il destino dell'Universo"

Scritto e diretto da Lana e Andy Wachowski, "Jupiter - Il destino dell'universo", attualmente nelle nostre sale, è un'opera che non soddisfa le aspettative legate al passato glorioso dei suoi autori, consacrati sedici anni fa dal cult generazionale "Matrix". Si tratta di un film di fantascienza che mischia generi e suggestioni, ma la cui essenza è tutta nella spettacolarità della veste visiva a scapito di una narrazione che non raggiunge mai vera epicità.

Ambientata tra Chicago e galassie lontane, la pellicola ha per protagonista una novella Cenerentola destinata a scoprire, attraverso una grande avventura, di essere molto più di quel che crede.

Jupiter Jones (Mila Kunis) è una ragazza di origini russe che, per vivere, fa le pulizie nelle case di persone benestanti assieme alla madre e alla zia. Si sente intrappolata in una vita faticosa e monotona almeno fino a quando non viene rintracciata da un cacciatore ed ex-militare geneticamente modificato, Caine (Channing Tatum). Scoprirà di essere l'erede genetica di una stirpe che domina l'universo, gli Abrasax, e che gli altri esponenti della prestigiosa casata aliena hanno tutto l'interesse a toglierla di mezzo.
Nonostante il film non sia né un adattamento, né un remake, né un sequel, bensì qualcosa di inedito, va detto che è colmo di citazioni e quindi, per quanto dotato di una sua originalità, appare in buona parte come un insieme di cose già viste. All'interno della cornice fantascientifica, compaiono un po' alla rinfusa sfumature fiabesche, numerose sequenze di azione estrema, una storia sentimentale, echi di "Matrix" e assonanze con certi titoli fantasy/sci-fi degli anni 80 come "Star Wars", "Labyrinth" e "Dune".

Come giostra fanta-action dal sapore vintage il film funziona, stordisce addirittura nella sua debordante visionarietà, ma raramente emoziona in maniera autentica. "Jupiter", grazie ad un budget di 175 milioni di dollari, offre un universo fantascientifico barocco e sviluppato in ogni dettaglio ma i personaggi che vi si muovono sono poco definiti e non fanno mai palpitare, a causa anche di dialoghi mal scritti. La Kunis fa il minimo sindacale nei panni della donzella continuamente in pericolo, una sorta di Andromeda sempre in attesa del suo Perseo dai calzari alati, un Channing Tatum mono-espressivo per tutta la durata del film. Non si salva neanche Eddie Redmayne, dato per favorito ai prossimi Oscar per "La teoria del tutto", che cade quasi nel ridicolo involontario costretto com'è nelle sembianze di un villain senza carisma.

Stavolta manca l'elemento spirituale spiccatamente presente in altre opere dei Wachowsky, ma permangono alcune tesi tipiche del loro immaginario: il genere umano è una mera risorsa per pochi potenti sfruttatori, il tempo l'unica vera ricchezza, l'idea di profitto una prigione e la reincarnazione possibile così come la vita in altre galassie. Gli adolescenti accorsi a lustrarsi gli occhi con tante acrobazie da videogioco, torneranno a casa con un messaggio educativo: «Non conta ciò che fai, ma ciò che sei», che allude al fatto che nessun mestiere, neppure il più umile deve svilire la considerazione che una persona ha di se stessa. La protagonista, non a caso, dopo tanti imprevisti, matura una nuova prospettiva sull'esistenza, ridefinisce le sue priorità e concetti come felicità, soddisfazione e autostima, rivaluta il valore del suo presente e impara a non disprezzare mai più la sua vita.

I Wachowsky si confermano coltivatori di consapevolezza perché hanno saputo dotare di una cornice morale anche un blockbuster a tratti kitch e non del tutto riuscito, regalando qualche piccola riflessione utile soprattutto a chi, tra il pubblico, si affaccia all'età adulta.

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