Questo è suonato per davvero. Oppure è semplicemente l’ultima rockstar maledetta. Nell’incertezza, ecco la notizia: Axl Rose, sapete quel cantante un tempo famosissimo con i Guns N’Roses e ora unico componente dei Guns N’Roses transgenici, rifiuta di farsi incoronare re del rock. «Chiedo fermamente di non essere investito di questo onore», ha scritto ieri in un torrenziale e sgangherato messaggio su Facebook. Lui se ne frega. Punto. Per farla breve, come da ventisei anni a questa parte, sabato la Rock And Roll Hall of Fame di Cleveland, che è sostanzialmente l’Olimpo dei musicisti rock, accoglie in pompa magna i nuovi membri. Figurarsi: ogni anno c’è la fila per aggiungersi quindi ai 279 vippissimi iscritti al Clan. Chi non ci riesce, mugugna. Ma chi è in quella lista, campa di rendita per il resto della storia.
E difatti basta scorrere l’elenco di chi ci è già entrato: dai Beatles ai Led Zeppelin ai Rolling Stones e Michael Jackson, si incontra chiunque non abbia ballato per una sola stagione. A questo giro, oltre ai Gunners, come li chiamano i fans sempre meno fans, tocca anche a Red Hot Chili Peppers, Beastie Boys, Faces e Donovan tra gli altri. Se un Grammy Award vale un Oscar, l’ingresso nella Hall of Fame vale il vitalizio. Ma non in banca: nella memoria storica. Però ad Axl, che vive incardinato in un mondo tutto suo e forse ormai in un’altra galassia, non importa. Anzi: «Vi prego di sapere che nessuno è autorizzato e a nessuno è consentito ritirare l’investitura da parte mia o di parlare al mio posto».
Boni, state bboni e non rompetemi le scatole. Axl Rose, la rockstar da cento milioni di copie vendute, è forse anche il più grande mistero musicale in circolazione. Ha fondato i Guns N’Roses che con Appetite for destruction (1987) e Use your illusion I & II (1991) hanno ridisegnato i contorni del rock duro, mutuando la lezione di Aerosmith e Hanoi Rocks e Stooges. Poi è stato spazzato via dal nichilismo del grunge e dal buio della follia. Si è pappato la band più famosa del mondo litigando prima con tutti i suoi musicisti, dal chitarrista Slash fino a Izzy Stradlin, e poi semplicemente con tutti gli altri, dai poliziotti fino ai fan che fischiavano i suoi ritardi.
Erano, i Guns N’Roses, un gruppo da «everything first class on the road», ossia uno dei pochi che poteva chiedere (e ottenere) il massimo a qualsiasi discografico o manager. Ed Axl era stato votato l’uomo più sexy del rock con tanto di copertina su Rolling Stone. E se lo meritava, diciamola tutta: aveva una voce che dai toni baritonali arrivava fin lassù miagolando come un tigrotto. Un look vincente. E una maledizione sottopelle che lo rendeva fascinoso. Poi «si è bevuto il cervello», come dicono quelli che allora gli stavano intorno. Più facilmente, si è bevuto tutto il resto, specialmente sopra i quindici gradi. E ora, a cinquant’anni, è quantomeno sovrappeso e molto affaticato sui toni alti, che erano uno dei suoi marchi di fabbrica. Dopo lo sfaldamento dei Guns N’Roses originali, ha impiegato quindici anni e rotti a pubblicare un altro disco, quel Chinese democracy che ha conquistato un buco di bilancio, un discreto flop nelle vendite e una bella collezione di stroncature nonostante fosse assai meno peggio di quel che sembrava.
A questo punto, chiunque altro tenterebbe di rispolverare quel che era. E molti credevano che il debutto nella Hall of Fame fosse l’occasione giusta per rimettere insieme la band originale, Slash compreso. Macché.
«Nessuna possibilità di reunion» ha scritto Axl Rose a metà della sua lenzuolata su Facebook. Tornassero insieme, sarebbe un affare da quasi un miliardo di dollari. Una manna per chiunque. Ma non per l’ultima rockstar maledetta. O, più semplicemente, per quella più suonata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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