Con lei l'autofiction è un'arte

Il mondo culturale francese presenta una continuità che mai potremmo cercare in Italia.

Con lei l'autofiction è un'arte

Il mondo culturale francese presenta una continuità che mai potremmo cercare in Italia. Da Re Sole a Annie Ernaux la strada è una sola, chiara, con tanto di origini, successioni, confutazioni, pedigree. La letteratura francese è un immenso circolo o società culturale, diffusa nel tempo e nello spazio, la cui attività consiste in un'infinita conversazione comprensiva di polemiche, inimicizie, partiti presi ma sempre e comunque una. Con un evento centrale a fare da boa: Marcel Proust. Il Nobel 2022 a Annie Ernaux potrà suscitare polemiche, ma non sul piano letterario, perché la Ernaux è una grande scrittrice. Fin da Sartre, e poi con i Yourcenar, Butor, Duras, Robbe-Grillet, Serraute (cito in ordine disordinato), la letteratura d'Oltralpe ha elaborato una complessa revisione, talora pro talora contro Proust, del rapporto tra presente e memoria. Da un lato la parte intrattabile delle lettere francesi (Céline, Artaud, Bataille, Blanchot, Klossowski) che ne ha condizionato il mainstream; dall'altro l'impatto dell'ideologia marxista e post: Foucault per esempio, o Pierre Bourdieu. Ernaux e altri - giusto citare almeno Pierre Michon - raccolgono questa eredità, che non è solo di pensiero, ma di tecnica letteraria. Se da noi la pratica della nonfiction e dell'autofiction è diventata maggioritaria (quasi nessuno cerca ancora grandi storie) il suo sapore occasionale, imitativo, senza troppe radici, è ancora prevalente. Non così in Francia, dove la memoria personale, per esempio in Ernaux, si è fatta archivio di una storia comune, e dove la dimensione individuale, intima, emotiva - il «vissuto» - si stempera in eventi che, letti oltre la barriera del ricordo, si confondono con la Storia di tutti e le sue complesse leggi. Nella mirabolante struttura de Gli anni, il suo romanzo più celebre, non ci sono concessioni al sentimento o all'emozione; i fatti scorrono chiari, oggettivati, la parola «io» si fa problematica, incerti i suoi confini. Tutti riconosciamo, in quegli eventi lontani da noi, qualcosa di profondamente nostro.

Ed è un riconoscimento amaro, perché nessuna speranza, nessuna luce irraggia dagli archivi della Ernaux, nessuna salvezza. Non perché l'autrice sia priva di speranza (questo non lo so), ma perché il metodo della letteratura non lo consente, perché Dio non abita la letteratura.

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