Un libro ricorda l'umiltà del grande Serafin

È sempre più diffusa la certezza che oggi non siano le grandi «voci» a mancare, ma le persone capaci di indirizzarle verso le opere più adatte al loro talento. Teatri e festival pullulano di esperti; sulla carta stampata e nella rete vagano vociologi e vociomani che tutto sanno e tutto dicono, avendo sentito cantare perfino le dive di due secoli addietro. Questo riporta alla mente quanto diceva il maestro Tullio Serafin (1878-1968), il quale non è stato solo il Patriarca del melodramma italiano in tre continenti o il Mentore di Maria Callas, ma ha avviato e ben consigliato alcune delle più fulgide primedonne del secondo dopoguerra: Renata Tebaldi, Antonietta Stella, Rosanna Carteri, Leyla Gencer. Serafin che pareva infallibile, metteva in guardia da chi si vantava di «capire» le voci, associandolo a quelli che hanno i numeri giusti del lotto o «capiscono» il sesso debole. A Serafin non faceva difetto quello che manca a molti che ignorandolo lo liquidano come routinier: l'umiltà. Concetto a cui ci richiama un suo degno ammiratore odierno, il maestro Nello Santi, nella prefazione al prezioso libro di Nicla Sguotti, Tullio Serafin il custode del bel canto. Umiltà di chi non ha dimenticato che il melodramma affondava la sua ragion d'essere nella passione popolare. Serafin era figlio di gente semplice.

Veniva da Rottanova di Cavarzere, sponda veneziana d'Adige, terra d'immigrati, alluvioni e radicchio tardivo. Colà, in vista del doppio anniversario del 2018, si prepara, nella ventura primavera, una Settimana Serafin. Ivi saremo, con ammirata umiltà.

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