Un mondo di drammi, prime donne e narcisi come il teatro d'opera non coincide in modo esclusivo con quanto va in scena. La parte più interessante si consuma dietro le quinte, e può diventare rovente, dunque tragicomica, quando si tratta di quinte e titoli di (e con una) tradizione. Ecco un racconto del back stage della Traviata, l'opera che sabato ha dato il via alla stagione del Teatro alla Scala.
Il direttore d'orchestra Daniele Gatti, artefice musicale della Traviata, è gran signore. Si narra però che, a un certo punto sia venuto meno il proverbiale aplomb. Ha perso le staffe nel corso di una delle ultime prove, a pochi giorni dal 7 dicembre: fra gli evento musicali top d'Europa. Ragione? Si dice che il regista continuasse a interrompere il lavoro, sistemando particolari di regia, con Gatti che avrebbe ricordato la natura della prova: non esclusivamente di regia, anche musicale. Tempo che stringe, consapevolezza dei trascorsi di Traviata (perfino la Violetta di Maria Callas venne fischiata...). Insomma, teso il direttore, teso il regista, nervi a fior di pelle... Così, apriti cielo. Fra i due sarebbe nato un alterco, con Gatti che ha piantato tutti in asso. Ha posato la bacchetta e via.
Atto secondo di quest'opera nell'opera. Chi ha assistito allo «scontro» riferisce che sia stato il sovrintendente Stephane Lissner a vestire il ruolo di mediatore: con ago della bilancia orientato però decisamente verso il regista. Ci teneva tanto a una Traviata riletta in una chiave diversa, da portare in un teatro che non sia museo delle cere ma laboratorio di novità (così, più o meno, ha spiegato...). Quindi dovendo scegliere fra i due, ha preso le parti del regista, e la vittima sacrificale è stato il direttore.
Il tenore Roberto Alagna, in una replica dell'Aida del 2006, abbandonò la Scala andandosene a scena aperta. Ma un direttore non è facilmente sostituibile. In breve, lo strappo è stato ricucito. Pare che Gatti abbia richiesto scuse formali scritte. Evidentemente arrivaste... E via di nuovo in scena. Traviata salva. Strette di mano e abbracci sabato, durante e dopo la messinscena, fra direttore e regista che hanno fatto buon viso a cattivo gioco, sfoderando un sano (o fintamente sano) spirito di squadra. Cordialità di rito a parte, i punti di vista e approcci, non sempre in sintonia fra la buca e la regia, spiegherebbero certa discrasia fra operato del direttore e quanto s'è visto in scena.
Questo era l'ultimo 7 dicembre di Lissner, che da ottobre lascia la stanza dei bottoni - e ha chiuso nel peggiore dei modi il suo lungo mandato - a Alexander Pereira, in arrivo dal Festival di Salisburgo. «Questa è stata la mia più bella prima assieme alle due con Daniel Barenboim», ha spiegato Lissner a quanti chiedevano di motivare i dissensi. Il titolo, come si è letto in questi giorni, ha diviso il pubblico, parte del quale ha «buato» la regia di Dmitri Tcherniakov, e un poco il tenore e il direttore, mentre una pioggia di fiori ha salutato la protagonista, il soprano Diana Damrau. Ma perplessità sono state sollevate anche da parte della critica. Che dire dei dissenzienti in teatro sabato? «Talebani», ha tuonato, a caldo, Stephane Lissner, ormai uso a sbotti.. Talebani anche quegli spettatori che nella sua Aix en Provence bocciarono Don Giovanni di Tcherniakov tre anni fa? Tcherniakov è regista che - bene o male: la parola ai critici - osa, è dunque inevitabile che nel mondo di un genere come l'opera sollevi critiche.
The day after amaro, poi, per il tenore Piotr Beczala, anche lui irritato dai loggionisti che hanno obbiettato come giusto loro sanno fare. «Penso che dovrebbero scritturare solo cantanti italiani», ha scritto piccato su facebook. Insomma, una Traviata sulla graticola.
E ora campo libero a
Pereira, che il prossimo 7 dicembre si vedrà un Fidelio (con Barenboim e la regista Deborah Warmer) programmato da Lissner. La vera prova del nove - almeno per la sera delle sere - è per il 7 dicembre 2015, anno di Expo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.