L'Oscar è una fiaba L'amore per un mostro vale due statuette

«La forma dell'acqua» di del Toro miglior film e regia. McDormand e Oldman attori più bravi

L'Oscar è una fiaba L'amore per un mostro vale due statuette

Nel mezzo d'una tempesta culturale, tra la Scilla del movimento #MeToo e la Cariddi di TimesUp, travolto dall'uragano Weinstein, il barcone degli Oscar 2018 è approdato al Dolby Theater di Los Angeles. Nella 90esima edizione all'insegna del radicalismo d'élite dentro neri, messicani e donne ai margini, fuori tutto ciò che non genera contrasto vincono i favoriti: i diversi. Mai come quest'anno detta legge ciò che sembra disuguale dalla norma: dal palco le vittime di Harvey Weinstein, l'ex-mogul predatore, hanno dichiarato: «Speriamo che i prossimi 90 anni siano di diversità e di uguaglianza». Provocatoriamente, il comico e presentatore Jimmy Kimmel ha sottolineato come zio Oscar sia «l'uomo più rispettoso della città: tiene le mani ben in evidenza e, soprattutto, non ha pene». Battuta degna del clima da caccia al maschio molestatore scatenata a Hollywood. Così l'essere deforme di Guillermo del Toro, nel clan dei «tres amigos» con i colleghi oscarizzati Alfonso Cuarón e Alejandro Gonzalez Inarritu, messicani anche loro, vince l'Oscar. Vanno a La forma dell'acqua i premi come miglior film e miglior regista: il fantasy a sfondo politico, vincitore alla Mostra di Venezia 2017, con la fiaba della donna muta che ama un mostro, ottiene pure la statuetta d'oro per migliore scenografia e migliore colonna sonora. Trionfo annunciato: 13 nomination, due Golden Globes e il presidente Trump da sfruculiare con un «carramba» davanti al muro col Messico.

Grande attesa per il film italiano Chiamami col tuo nome: Luca Guadagnino porta a casa l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, firmata dal 90enne James Ivory, il premiato più vecchio nella storia dell'Academy.

In quota Dreamers, emigrati col sombrero avversati dalla Casa Bianca, ecco pure il film animato Pixar Coco, vincitore di categoria per la migliore canzone originale. Il regista Lee Unkrich paga pegno al popolo della tequila, affermando: «Cerchiamo di fare un passo verso un mondo dove tutti i bambini possano vedersi rappresentati come sono». Però la messicana Salma Hayek, già icona sexy, non si è vista allo specchio, ieri: appariva invecchiata e goffa in un pacchiano vestito color glicine, incordato di lustrini.

E ha lottato per l'inclusione Frances McDormand, miglior attrice con Tre manifesti a Ebbing, Missouri: è il suo secondo Oscar, dopo Fargo. Sua madre che si batte contro la polizia per trovare gli assassini della figlia ha commosso e convinto. «Ho soltanto due parole: Inclusion rider»,ha sibilato la musa dei fratelli Coen, alludendo alla clausola che un attore può far inserire nel contratto, se vuole che il film in cui lavora contenga un certo livello di diversità. Migliore attrice non protagonista, Allison Janney, starring la madre manipolatrice di I,Tonya, film sulla pattinatrice Tonya Harding. Il premio per il miglior attore se l'è aggiudicato Gary Oldman, mirabile nei panni di Winston Churchill alle prese con Hitler in L'ora più buia. «Grazie, mamma, per il tuo amore», ha dedicato il discorso alla madre 99enne. Dato il complesso trucco&parrucco di Kazuhiro Tsuji, David Malinowsky e Lucy Sibbick, per trasformare Oldman in Churchill, il miglior premio per il make up se lo sono aggiudicato loro. Seconda Guerra mondiale superstar per i tre Oscar minori vinti dal film Dunkirk di Christopher Nolan. A Sam Rockwell, poliziotto in Tre manifesti, il premio di miglior attore non protagonista.

Miglior film straniero è A Fantastic Woman del cileno Sebastian Lelio, mentre la migliore sceneggiatura originale va a Jordan Peel per Get Out: è la prima volta che un afro-americano vince l'Oscar per la sceneggiatura. Nessun incidente, come era successo lo scorso anno con un pasticcio sulle buste dei vincitori.

Nessun vincitore assoluto, ma tanti premi annunciati e bei discorsi politicamente corretti. Meno male che le star erano coloratissime, e non in black come ai Golgen Globe. Ancorché cafone. Come Jennifer Lawrence: bicchiere di vino in mano, a scavalcare sedie con la solita spallina che cade.

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